Footprint | Quanto carbonio c’è in un bicchiere di vino? Chiederselo in fretta
di Elena Di LuigiÉ arrivato nei supermercati britannici il Sauvignon Blanc Mobius della cantina New Zeland Wine Company (NZWC), il primo vino con l’impronta carbonica stampata sull’etichetta. Il prodotto é certificato dalla Carbon Trust, ovvero dall’agenzia europea che calcola la riduzione delle emissioni di CO2 nell’industria alimentare. É risaputo che vino e ambiente nella stessa frase incitano il consumatore a reazioni opposte, da chi sbuffa annoiato a chi diventa fondamentalista verde. Spesso é la confusione a generare indifferenza. Ma si puó parlare direttamente al consumatore scavalcando le discussioni bio-nonbio e andando al sodo?
Questo é quanto ha fatto la New Zeland Wine Company, calcolando che un bicchiere di Mobius Marlborough venduto in Gran Bretagna ha un’impronta carbonica pari a un percorso in macchina di 5 Km. E come dirlo al consumatore? Semplice, basta stampare il “carbon footprint” espresso in grammi sull’etichetta, spiegando che questo valore varia per mercato ricevitore, e che equivale alle emissioni prodotte per fare il vino e trasportarlo sulla tavola di chi lo beve.
Per capire meglio cosa e chi ha motivato questa scelta abbiamo riunito i protagonisti attorno a un tavolo virtuale e fatte le seguenti domande.
La Carbon Trust é l’agenzia britannica che ha riconosciuto e certificato il primo vino con l’impronta carbonica. Direttore come é nata questa collaborazione?
Euan Murray, Director of Carbon Footprinting, alla Carbon Trust: la NZWC ha lavorato in collaborazione con il nostri partners in Australia – Aura Sustainability e Planet Ark – calcolando le impronte per ogni mercato importatore. I grammi sull’etichetta tengono conto dell’intera vita di una bottiglia di vino, dalla produzione fino alla eliminazione finale dell’imballaggio.
E perché l’etichetta del Mobius é un fatto importante?
Perché é la prima e perché dimostra che l’industria vinicola partecipa alla riduzione di emissioni. Basti pensare che noi tutti, come consumatori, produciamo due terzi delle emissioni totali. Si tratta inoltre di una collaborazione logisticamente importante, perché coinvolge piú di mercati.
Dave, cosa vi ha spinto alla NZWC a venire allo scoperto rivelando al consumatore il suo e il vostro contributo all’inquinamento atmosferico?
Dave Pearce, Chief Winemaker a NZWC: Il bisogno di cambiare. Crediamo cioé che il consumatore che deciderá di sostenere la nostra causa, dará il suo contributo. Il surriscaldamento climatico é un problema che appartiente a tutti e noi dimostriamo che facciamo qualcosa in merito per risolverlo.
Craig, vi considerate dei pionieri?
Craig Fowles, Sustainability e Compliance Cordinator alla NZWC: Certo! Abbiamo introdotto il concetto di sustainability (sfruttare le risorse naturli e rinnovabili dell’ambiente senza distruggerle e preservandole per le genererazioni future) e di carbon neutrality (ristabilire un equilibrio climatico/ambientale finanziando progetti come la forestazione, per compensare l’equivalente di emissioni prodotte). Tutto questo non solo in NZ ma anche in altre paesi del mondo vinicolo.
Cos’altro fate in cantina per ridurre le emissioni di CO2?
CF: La NZWC é una cantina certificata “Carbon Neutral” da 5 anni. Tra le cose che facciamo posso citare la fertilizzazione dei vigneti utilizzando le vinacce; utilizziamo bottiglie di vetro leggere ed energia rinnovabile; favoriamo la pastorizia per ripulire i vigneti e ricicliamo tutti i materiali che utilizziamo. Skype ci serve per evitare di viaggiare, quando possiamo farne a meno. Queste sono solo alcune delle iniziative intraprese in questi anni.
C’é chi pensa che questa trasparenza carbonica sia solo una strategia di marketing, che ne dite?
CF: Come pionieri della sustainability in cantina e delle emissioni a tasso zero, e ora anche dell’etichetta con l’impronta, credo che sia ovvio il nostro impegno e che questa é la nostra filosofia aziendale.
Helen Wilkes, Marketing Manager a NZWC: Propio cosí! Questa é la nostra filosofia e non chiacchiere. Come produttori vogliamo essere sicuri che i consumatori siano informati adeguatamente, é un loro diritto. Poi ognuno fa le sue scelte. Pensiamo anche alle generazioni future e alla loro possibilitá di utilizzare le risorse ambientali.
DP: Sustainability é uno strumento che puó incrementare le vendite ma decisamente non il piú importante in questo momento. E poi che male c’é se le vendite di questi tipi di vini aumentano a discapito degli altri?
Come convincereste un consumatore europeo a bere il vostro Mobius piuttosto che un vino prodotto nel continente?
CF: Molti pensano che la produzione maggiore di CO2 avviente durante il trasporto di un vino dalla cantina al mercato, ma non é cosí.
EM: Infatti i consumatori non dovrebbero dare per scontato che i prodotti locali abbiano un’impronta minore rispetto a quelli importati.
CF: Sono piuttosto le tecniche produttive adottate dalle cantine, spesso quelle che le rendono piú efficienti e moderne, che spesso hanno un impatto negativo maggiore sull’ambiente. Noi lanciamo la sfida ad altri produttori perché inizino un’esperienza simile alla nostra.
DP: Alla NZWC non ci interessa convincere il consumatore perché il nostro obiettivo non é quello di prendere il posto di altri, ma piuttosto quello di offrire un vino migliore. La scelta dovrebbe basarsi su una serie di cose tra le quali anche la sostenibilitá di quel prodotto.
HW: Inoltre non dimentichiamo che esiste comunque un domanda e un mercato per il Sauvignon Blanc di Marlborough. Quindi con il Mobius non facciamo altro che offrire un vino con un qualcosa in piú.
EM: Aggiungo che bisogna tenere presente che l’uso di questo tipo di etichetta sta crescendo. Per darvi un’idea cito una ricerca di mercato condotta dall’associzione dei dettaglianti britannici. Si calcola che questo tipo di etichetta nel 2015 avrá un mercato di 15.2 miliardi di sterline. Del resto il messaggio al consumatore é molto semplice, fare qualcosa di utile a costo zero.
Secondo voi ora che l’etichetta é ancora una novitá per molti, come verrá utilizzata?
CF: Ci interessa che chi oggi sceglie il Mobius perché si fa notare, in futuro tragga le sue conclusioni e faccia altre scelte responsabili.
Quali sono secondo la vostra esperienza i paesi europei piú attenti alle problematiche ambientali?
CF: Senza ombra di dubbio la Gran Bretagna che é anche il nostro mercato piú importante.
Roger Kerrison, Senior Advisor di Aura Sustainability: Su questo punto vorrei intervenire facendo presente che tradizionalmente i paesi piú ricchi e le classi piú abbienti sono anche quelli piú interessati alla causa. É importante che i produttori investino sulla produzione sostenibile altrimenti corrono il rischio é di essere tagliati fuori da certi mercati come appunto l’Europa, gli USA e il Giappone.
Roger, cos’altro si puó fare per ridurre le emissioni di CO2?
RK: La buona notizia é che solo il 20% circa delle emissioni sono prodotte nei vigneti e nelle cantine, il resto viene da altre fasi della catena produttiva. Per esempio l’imballaggio é responsabile del 40%, soprattutto quando si parla di vetro. Riciclare il vetro e optare per bottiglie piú leggere sono passi essenziali per un produttore che vuole dimezzare le emissioni carboniche. Credo che la soluzione ideale di imballaggio, vale a dire quella che soddisfa il produttore e il consumatore, non c’é ancora, ma é solo con questa che l’industria vinicola entrerá a pieno titolo nel ventunesimo secolo.
DP: Se da un lato non ci sono limiti su cosa fare per ridurre le emissioni carboniche, dall’altro i produttori di vino dipendono anche dai fornitori ed é importante che tutti facciano gli sforzi necessari. Comunque saranno i consumatori a creare quella pressione necessaria perché tutti si impegnino di piú.
32 Commenti
enrico togni viticoltore di montagna
circa 14 anni fa - Linkbottiglie leggere, pastorizia in vigna, fertilizzazione con le vinaccie, nulla di nuovo o trascendentale!
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - LinkTutto bellisimo e auspicabile ma poi le bottiglie per essere vendute devono trasvolare un paio di continenti. Quanto carbonio incide sul trasporto? Il vino può essere pulito e deve esserlo ma una volta uscito dalla cantina è uno di quei prodotti che mette in moto una pletora di mezzi di trasporto o pensate che dalla nuova zelanda sia venuto a nuoto? luigi
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkAppunto. In fondo è quello che sostiene Bacillus. Ci sono argomenti di marketing che diventano irresistibili specchietti per le allodole. Di fonte a parole magiche tipo "bassa emissione di CO2", "commercio equo e solidale", "biologico" una fetta di consumatori tralascia qualunque altro aspetto "razionale"
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - LinkL'intervista infatti verte esclusivamente sul fatto che questo vino (di cui non si parla in termini organolettici, di piacevolezza o di terroir) ha una arma in più dal punto di vista dell'appetibilità per il consumatore distratto che però vuole tenersi pulita la coscienza e compra bio. E' quello che temono molti produttori bio, che talvolta non mettono la certificazione in etichetta, per evitare di essere risucchiati nella produzione Bio "industriale" che cavalca non tanto o non solo i valori etici ma sopratutto il plusvalore commerciale. A riguardo mi permetto di segnalarvi un mio intervento sul biologico www.gliamicidelbar.blogspot.com/2010/11/bio-bio_04.html Luigi
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkLettura interessante. Ma mi vengono spontanee due questioni. Intanto quella dei "grandi" in grado di sfruttare industrialmente il "marchio" bio. Possibile, ma, tanto per capirci il Tavernello Bio, sempre Tavernello rimane ... Se il "consumatore bue" compra qualunque cosa a marchio bio ... pazienza, peggio per lui. L'altra è più sottile: ma la scelta "bio" è un filosofico ritorno al passato "genuino" (che è passato proprio perchè si era stanchi di vinificare - ogni tanto - degli aceti si è cercato di applicare "scienza" all'arte ...per uniformare produzione e risultati) con annessi e connessi, rischi compresi o è, anche per i "piccoli", uno dei tanti strumenti di marketing che cercano di aggiungere qualità "eterea" a prodotti che forse non l'hanno ?? O che magari ce l'hanno, ma senza "marchio" non si ritagliano un mercato ? In italiano, il vino magari è un po' acetoso (per dire) ma è bio, cioè genuino, bevetevelo così. E in questo caso il target di clientela è rappresentato da chi "comunque" lo berrebbe in quanto tale ? Ma se poi magari scopre che il "Tavernello bio" (sempre per dire) ha un sapore migliore e costa un terzo ? Ragionamenti contorti, da "utilizzatore finale", che "per diletto" sa come funziona la vinificazione "artigianale"
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - LinkCaro Maurizio, hai ragione e i tuoi dubbi sono i miei dubbi. il vino naturale deve essere buono, la bontà però è figlia della cultura più che del palato quindi è ondivaga e va affinata e coltivata. Bisogna assaggiare e riassaggiare e verificare i produttori, incontrarli e vedere le loro cantine. Io trovo ottimi i vini naturali di Barraco, Arianna Occhipinti, di Nicoletta Bocca, di Massavecchia, della Biancara, Osvaldo Barberis, guido Zampaglione,Gravner, Skerk, Princic, La Stoppa etc. I francesi ci insegnano che la volatile un po' sopra le righe smagrisce corpi glicerici altrimenti pesanti. luigi ps sono comunque molti i produttori di quantità che potrebbero far uscire vini deterritorializzati con marchio bio.
Rispondiantonio tomacelli
circa 14 anni fa - LinkIo mi sono anche un po' rotto di questa storia dei vini acetosi. Puzza di banalità gettata tra i piedi di chi si azzarda a fare un minimo ragionamento riguardo l'ambiente. Due cose per Maurizio, sperando di riuscire a spiegarmi: 1) Tutte le pratiche che servono a ridurre la carbon footprint NON hanno alcuna influenza sulle caratteristiche organolettiche del vino. Mettere dei pannelli fotovoltaici o ridurre il peso degli imballaggi non c'entra nulla con le volatili e "il bel tempo che fu" o col metodo biologico 2) Sono stato di recente al Vinnatur Taranto e ho assaggiato TUTTI i vini presenti: ce ne fosse stato uno che sapeva d'aceto o con la volatile spinta, anzi. Il problema per qualcuno era semmai l'ossidazione, ma pensando a certe botte di zolfo di alcuni vini convenzionali (fatte passare per mineralità) tanto meglio così
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - Linkcaro alessandro per i bianchi hai perfettamente ragione, anzi le volatili non devono essere troppo elevate, il problema semmai è l'ossidazione (che però è spacciata per iodato). Sui rossi invece spesso c'è ad esempio il tenores di dettori. luigi
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - Linkscusa, antonio non alessandro. pardon luigi
RispondiPaolo Paw
circa 14 anni fa - LinkSegnalo un' azienda italica che si è mossa in questo senso e probabilmente dall' anno prossimo riporterà la propria carbon footprint in etichetta: date un' occhiata all' home page: www.fratusfranciacorta.com
Rispondigp
circa 14 anni fa - Link(vedi qui sotto la mia risposta a questo commento)
Rispondigp
circa 14 anni fa - LinkE' una buona iniziativa. Però l'azienda dovrebbe specificare di quali fasi del ciclo produttivo l'impronta tiene conto. Dato che si tratta di un'impronta addirittura negativa (cioè distruzione netta di CO2), viene da pensare che si tratti solo delle fasi relative alla vigna e alla cantina: qui sopra infatti un intervistato ha detto "solo il 20% circa delle emissioni sono prodotte nei vigneti e nelle cantine, il resto viene da altre fasi della catena produttiva. Per esempio l’imballaggio é responsabile del 40%, soprattutto quando si parla di vetro" (e sappiamo tutti quanto pesa una bottiglia di spumante, anche le più leggere, aggiungo io). Oppure sono state finanziate riforestazioni? Insomma, ci vorrebbe qualche dettaglio in più.
Rispondiantonio tomacelli
circa 14 anni fa - LinkIn questo campo siamo qualche millennio indietro rispetto agli altri paesi. Siamo ancora qui ad azzuffarci su "biodinamica, biologico o nessuno dei due?" quando in altri paesi hanno già fatto una scelta ambientalista che mette d'accordo tutti. Poi, un bel giorno, il rispetto delle emissioni diverrà legge e noi rincorreremo alla disperata il resto del mondo.
Rispondibacillus
circa 14 anni fa - LinkAntonio, scusa, ma cosa stai dicendo? Sei sicuro di essere in te? Credi davvero a questo boiate? 8O
RispondiAntonio Tomacelli
circa 14 anni fa - LinkSi, ma gradirei essere smentito con i fatti, non con le chiacchiere
Rispondibacillus
circa 14 anni fa - LinkFatti? Antonio, guarda attentamente quella foto. L'interfilare è regolarmente inerbito, il sottofila per una fascia che mi sento di stimare ad occhio di almeno 80 cm di larghezza è perfettamente libera da vegetazione. Tu pensi che la pecora sia addestrata per brucare fino all'ultima fogliolina di erba proprio in quella fascia? Davvero la pecora neozelandese è dotata di tali capacità intellettuali? Con tutta probabilità, invece, lì c'è stato semplicemente un bel diserbo sottofila: CO2 per produrre, confezionare, trasportare l'erbicida, CO2 per distribuirlo con il trattore una o con tutta probabilità due volte a stagione. Morale della favola: il calcolo del "carbon footprint" di quella bottiglia è ampiamente opinabile. Fornire cifre in questo senso è davvero un azzardo, se non un vero atto di disonestà intellettuale. Se poi, per tentare di rendere credibile la cosa ci metti le pecore, la vinaccia, i pannelli solari, beh, si tratta della solita demagogia rivolta all'ambientalista ingenuo, tanto appassionato e responsabile, quanto ignorante sulle questioni scientifiche e tecniche che questo argomento comporta. Dico tutto questo, comunque, per sottolineare come in questo caso ci sia una palese strumentalizzazione di una questione che è reale: l'impatto ambientale di una attività economica. Che è tutt'altro che un problema a me estraneo, anzi. Proprio per questo "l'impronta carbonica stampata sull'etichetta" è per me una semplificazione ed una banalizzazione inaccettabile.
RispondiAntonio Tomacelli
circa 14 anni fa - LinkLa foto non sono sicuro arrivi dalla cantina neozelandese ma non è questo il punto. Quello che voglio sapere da te è: ti sembra una cosa tanto idiota praticare una viticoltura a basso impatto ambientale? né biodinamico né biologico, Bacillus: si tratta di inquinare meno. Ce la fai a reggere un pensiero come questo?
Rispondibacillus
circa 14 anni fa - LinkAdesso, però, le balle anche mi girano. Ma tu li hai letti i miei interventi su questo blog dalla notte dei tempi? No, vero? Tu ti sei messo pregiudizialmente in testa che io pratico "viticoltura al napalm", ma non ti sei mai messo a riflettere sul messaggio che ho voluto trasmettere. Colpa mia? Certo, anche. Ma tieni conto che io faccio il viticoltore e l'enotecnico, non il giornalista. Spetta a te indagare sulla mia esperienza per trarne motivi di interesse per quello che è il tuo ruolo professionale. Ti sfido, Antonio, a trovare anche solo uno dei miei pensieri che non siano orientati ad una visione sostenibile dal punto di vista ambientale delle attività umane su cui mi sono espresso. Nel mio caso particolare cerco di portare avanti la mia azienducola secondo quella logica, ma senza assolutamente trascurare gli aspetti virtuosi del mestiere, che sono quelli di produrre buona uva ed ottimo vino. Facile proclamarsi "sostenibili" ed imbottigliare merda. Secondo me, Antonio, hai molto su cui riflettere.
RispondiGabriele
circa 14 anni fa - LinkL'approccio pragmatico e concreto di Bacillus mi piace molto.
Rispondieros
circa 14 anni fa - LinkSi tiene conto anche delle emissioni delle pecore?
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkInfatti :-) Se cancellassimo la Nuova Zelanda (ovvero i suoi greggi) dalla "mappa" mondiale avremmo un netto abbattimento delle emissioni globali di CO2. Pero' questo del calcolo della CO2 emessa è un'arma a doppio taglio. Leggevo uno studio sui pannolini riciclabili (lavibili) che in realtà "inquinerebbero" piu' degli usa e getta (magari era sponsorizzato Pampers, ma le cifre sembravano convincenti) Tornando al vino, nello specifico, il consumatore "sollecitato" all'argomento potrebbe (dovrebbe) appunto chiedersi se far viaggiare per 20K km una bottiglia ecologica "inquina" meno di berne una prodotta "in serra" a 30 km da casa ..
RispondiAntonio Tomacelli
circa 14 anni fa - LinkFai due conticini alla buona: le pecore "emettono" comunque co2, tanto vale farle pascolare tra i vigneti in sostituzione dei trattori, o no? E ora un intermezzo simpatico: indovinate a quale invenzione si riferisce questo episodio del secolo scorso? "In Inghilterra la pensavano esattamente allo stesso modo, ma con un pizzico di cattiveria in più: due anni prima del giudizio universale di Morton una commissione del Parlamento britannico l'aveva definita «buona a sufficienza per i nostri amici d'Oltreoceano», riferendosi agli americani, «ma immeritevole dell'attenzione di uomini pratici e di scienza»." Ecco, noi siamo esattamente come quegli scettici che deridono anche le cose più logiche e utili.
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkIndubbiamente le pecore che "emettano" metano in vigna o fuori vigna sempre quello è. Ma non è che dalle pecore si munge vino. Nè tantomeno mi spacci la gabola della bottiglia leggera e delle altre "accortezze" per un prodotto che per essere consumato fa mezzo giro del mondo. Se bevo vino neozelandese PERCHE' a basso impatto posso anche affogarmi nella minerale alpina (se vivo a Pantelleria) ..
Rispondiantonio tomacelli
circa 14 anni fa - LinkA te che una cosa vada fatta "a prescindere" per il bene e la salute comuni, neanche ti sfiora, eh? Saranno pure specchietti per le allodole ma il giorno in cui un neozelandese riuscirà a dimostrare che lui inquina meno di un produttore toscano, saranno dolori. Perchè tu magari te ne sbatti, ma le allodole ci tengono all'ambiente
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkScusa eh, ma come ragioni ? Se il produttore NEOZELANDESE per vendere il vino deve farlo viaggiare per VENTIMILA chilometri, forse il bene del pianeta prevede NON tanto che lo concimi con la pecora (altra notevole fonte di gas serra ....) o lo metta in eteree bottiglie, ma che NON lo esporti proprio. Poi possiamo anche ragionare sul fatto che TUTTI i produttori di vino (visto che di quello stiamo parlando - ma da intendere TUTTI gli UMANI) dovrebbero limitare le loro emissioni e i loro consumi. E su questo siamo (penso) più o meno tutti d'accordo. Se poi qualche anima bella si sente "ecocompatibile" perche' beve vino del genere, contento di quello che ci scrivono sull'etichetta e non il Lambrusco (per citare una fonte di gas ..) contento lui. A mio parere l'ecocompatibile un vino che ha viaggiato 20.000 km NON dovrebbe berlo neanche se fosse l'ultimo liquido rimasto sulla terra. Specie visto che viviamo in Italia e di vini eccellenti a km0 ne abbiamo una marea. Che poi anche la storia del Km0 a tutti i costi sia un'altra ecoballa può essere argomento di una specifica discussione. Ma nel caso che stiamo trattando mi sembra tutta una presa in giro. Un po' come i SUV ibridi da 500 cv che sarebbero "ecologici" in quanto ibridi e in quanto fanno 8 km a litro invece di 4 ... Ma perpiacere ..
Rispondiantonio tomacelli
circa 14 anni fa - LinkNon muoio per il kilometro zero, ma non vorrei più sollevare bottiglie che, vuote, hanno un peso di 1,2kg! Poi che venga dalla Nuova Zelanda è un paradosso, ovvio, ma persino i francesi stanno sperimentando bottiglie più leggere e sottili per lo champagne. Insomma, in tutto il mondo si parla di carbon footprint tranne che in Italia. Questo post, per dire lo abbiamo pubblicato giusto un anno fa: http://www.intravino.com/vino/ci-mancava-la-bomba-della-viticoltura-sostenibile-in-california/ Ora mettiti nei panni di un americano consapevole e con uno spiccato senso ambientalista (ce ne sono tanti). Al ristorante sta per scegliere una bottiglia di vino ed è indeciso tra un ottimo vino francese a basso impatto ambientale e un buonissimo italiano che invece se ne fotte: cosa pensi sceglierà?
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkQuesto già mi sembra un ragionamento condivisibile. Anche perchè rafforza il mio. Il californiano becero, dopo aver parcheggiato il suo V8 da 16 miglia a gallone si rifarà una verginità bevendo il vinello neozelandese (che, per altro, avendo viaggiato verso est per quasi gli stessi km avrà davvero un'impronta minore del Chianti proveniente da ovest ...)
Rispondiluigi fracchia
circa 14 anni fa - LinkLa missione principale da portare avanti è quella di informare per rendere attrezzato intelletualmente il cliente, affinchè possa scegliere in coscienza o aiutarlo (con un somellier o quant'altro) nella scelta affrontando una visione globale del vino (qualità, piacevolezza, terroir, produzione e produttore). Qui stiamo commentando un prodotto da grande distribuzione (ricordiamo ai lettori di Intravino che le strutture della GDO hanno costi energetici e sprechi di alimenti iperbolici che a mio avviso annullano ogni benefico effetto di qualche centinaio di bottiglie a impronta zero)che soggiace a regole meramente commerciali. luigi
RispondiNelle Nuvole
circa 14 anni fa - LinkNon ho niente da dire sull'argomento, ma voglio esprimere la mia stima a Elena Di Luigi per il suo lavoro di giornalista.
RispondiMAurizio
circa 14 anni fa - LinkLo dici come se fosse un epitaffio ... :-)
RispondiNelle Nuvole
circa 14 anni fa - LinkSpiritoso, l'ho scritto perché Elena é brava e si é costruita la sua carriera senza nessun aiuto ed rappresenta quella categoria di italiani expat di cui sono fiera.
Rispondibacillus
circa 14 anni fa - LinkBuon Natale a tutta la Redazione. Biologico e biodinamico a voi "eco-innovatore" a me. ;-) Dài, scherzo. Auguri a tutti.
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