Vino e sport| Intervista a Giuliano Razzoli tra oro olimpico di sci, bollicine e Aceto Balsamico Tradizionale

Vino e sport| Intervista a Giuliano Razzoli tra oro olimpico di sci, bollicine e Aceto Balsamico Tradizionale

di Marco Colabraro

Gli appassionati di vino si nascondono ovunque e, tra questi, ci sono anche gli sportivi professionisti.

Mi sono spesso chiesto come sia possibile coniugare la passione profonda del bere con uno stile di vita sano e lì è nata l’idea di intervistare chi per lavoro deve essere costantemente al meglio delle proprie capacità fisiche e mentali.

Chi è spesso sotto i riflettori dà un’immagine parziale di sé, legata alle proprie performance o a come appare sui social e nelle interviste, eppure tutti noi siamo molto più di quello che possiamo apparire. Parlandone in redazione ci siamo detti: “Vuoi vedere che anche tra gli sportivi professionisti qualche appassionato di vino lo troviamo?”. Con questa idea in mente, ho contattato un po’ di veri atleti che mi è sembrato fossero sensibili all’argomento, persone che insomma vedrei bene a tavola con noi.
Dopo Mattia Perin, portiere della Juventus, oggi parliamo con Giuliano Razzoli.

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Giuliano è uno sciatore. Giuliano è stato oro olimpico di slalom speciale a Vancouver 2010. Giuliano è un appassionato di vino.
Sei anche tu come Giuliano?
No! Proprio per nulla.
Ma la passione per i fermentati ci avvicina, così lo cerco. Anzi, lo rincorro grazie al gancio di Ale Morichetti che parlando di lui mi dice: “Non lo conoscevo, non sapevo chi fosse. Eravamo a una cena, quelle del mondo del vino, a un certo punto tocco la sua schiena: un muro. Metallo puro. Ma chi è questo?”.
Mesi di messaggi WhatsApp tra preparazione atletica e gare, aerei e treni, e una vita prossima a cambiamenti decisivi.

Nato a Reggio Emilia. 39 anni. 157 gare di coppa del mondo in una disciplina tecnica e spettacolare come lo slalom speciale dove in 50 secondi ci si gioca tutto. L’oro che ha sorpreso ed emozionato l’Italia dopo gli anni di Alberto Tomba “la Bomba”, quando ancora lo sci stava sulla Rai e si esultava in famiglia.

Ci sentiamo al telefono pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, tra un cambio di pannolino e l’assistenza alla mamma. Giorni felici e intensi, per fortuna anche le gare sono finite e il tempo dell’atleta Giuliano è più tranquillo, ma quello che capisco è che la testa non stacca mai del tutto.
Di seguito la nostra conversazione, dove ho mantenuto per iscritto lo stile del parlato.


Ciao Giuliano, come nasce la tua passione per il vino?
Ciao Marco! Ho scoperto che esiste il vino “buono” a 18 anni con una bottiglia di Amarone di cui non ricordo il nome. Ho capito dall’intensità e dalle sensazioni che mi ha lasciato in bocca, dall’emozione che mi ha trasmesso, che c’era qualcosa di più rispetto ai “lambruschini” (più tardi ti dirò che sono un amante del lambrusco, eh) che avevo assaggiato qualche volta al bar o ai “toscanini” che ingoiavo con gli amici d’estate.
Da allora ho cercato di capire il vino soprattutto leggendo quello che in quegli anni era disponibile: guide, atlanti, qualcosa su Internet (dove le pubblicazioni non erano numerose come adesso). La svolta ci fu in un wine bar di Modena, dove si sbicchierava il Rosso del Bepi 1994 di Quintarelli. Io, curioso perché ormai avevo letto tutto a proposito dell’Amarone, lo ordino senza esitazioni e, con l’amico che era con me, ci guardiamo e ci mancano le parole. Un’emozione unica. Eravamo entrambi entusiasti e allora la decisione: “Si va al Vinitaly, il vino può essere davvero un luna park, dobbiamo capire di più!”. Così facciamo una macchinata, sosta all’autogrill, arriviamo ai cancelli e… mal di stomaco, nausea, crampi: vado in infermeria, mi danno una pastiglia ma niente vino, torno in macchina e aspetto gli amici, deluso, senza aver assaggiato una goccia. Maledetto autogrill, maledetto viaggio. Il giorno dopo stavo bene!

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Un incontro fondamentale?
Sai, in quei tempi io facevo già la vita d’atleta. Ho cominciato a farmi notare a nove anni con lo sci estivo, poi a 18 anni sono entrato in nazionale giovanile e non avevo così tanto tempo per dedicarmi alle mie passioni… così, appena possibile, ho approfittato degli spostamenti dovuti al mio mestiere. Viaggiavo, sciavo, e quando era possibile assaggiavo. Poi, a stagione finita o quando gli allenamenti lo consentivano, andavo da solo a cercarmi produttori, a vedere i territori di cui avevo tanto letto. Ti ho detto di Quintarelli, ebbene, sono stati tra i primi da cui sono andato, quando ancora il grande vecio era vivo. Sai, per ringraziarlo della visita gli ho lasciato la mia cartolina firmata e lui, in dialetto, mi fa: “Eh, bello, ti metto qui, di fianco al Michele!”. Che era Schumacher, anche lui grande appassionato.
Poi… Ferrari. Tutte le guide parlavano con toni entusiasti del Giulio Ferrari. Quindi, mentre mi allenavo in Val di Fassa, ho speso i premi in denaro vinti con due podi di Coppa Europa comprando, senza averlo mai assaggiato prima, una cassa di Giulio Ferrari 1997, pensavo: “Se la stagione va bene brinderò con un gran vino”. E così è stato. Mi piacquero talmente tanto che grazie ad Alberto Tomba divento amico della famiglia Ferrari. Io appassionato di vino, loro appassionati di sci: questione di feeling.

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Vini e luoghi del cuore?
Devo farti una premessa, io bevo da vent’anni e non seguo le mode. Sai, tutte hanno i loro limiti: prima nei barricati si sentiva troppo il legno, ora si cerca la bevibilità ma spesso ci sono vini che sanno di poco, poi l’esaltazione del difetto… insomma, un vino per me deve essere buono. E poi c’è il gusto personale. Io dopo il primo amore per corvina, corvinone e rondinella mi sposto in Toscana: zona del Chianti, ma anche Montalcino e Bolgheri. Era inevitabile, a quei tempi, mi accostassi ai supertuscan, che a me piacevano tantissimo e piacciono ancora, con qualche anno sulle spalle però, almeno 15 o 20, solo allora li trovo equilibrati, completi e profondi.
Ti confesso che a me piacciono i vini invecchiati, non troppo, ma il tempo giusto: forse per il fascino degli anni, perché mi va di capire cosa è successo dal momento in cui li ho assaggiati la prima volta ma, soprattutto, perché quando stappo una bottiglia vecchia mi tornano in mente ricordi legati a persone e luoghi, a un me che pensavo di aver dimenticato.
Ah, mi viene in mente che il primo vino importante che comprai a un ristorante è stato un Pergole Torte di Montevertine, l’anno non lo ricordo ma allora costava molto poco. Mi piacque talmente tanto che tornato a casa comprai un’intera cassa di annate miste su eBay; le ho bevute negli anni e le ho trovate tutte in gran forma, ti cito 1990, 1993, 1995, ma anche le altre notevoli. Diciamo che a quei tempi ero ancora uno sprovveduto ma ho avuto fortuna.
Ancora in Toscana posso citare il Galatrona di Petrolo, un merlot in purezza: in Italia non è di moda e gli appassionati storcono il naso ma a me piace tanto; poco tempo fa ho aperto una magnum 2009, annata calda ma che si è rivelata in splendida forma, equilibrata e di impatto. Poi Petrolo fa anche il Torrione, sangiovese, cabernet e merlot, e se guardo il rapporto qualità-prezzo è tra i miei vini preferiti.
Due bottiglie del cuore sono un Barolo 2005 Rocche di Castiglione 12 litri di Vietti, regalo di Luca Currado ed Elena Penna per il mio matrimonio e che ovviamente abbiamo aperto… Ti dico solo che mi sono sposato due anni fa e ancora adesso ogni tanto qualcuno mi fa: ma quel Barolo, quanto era buono! L’altra è una bottiglia senza etichetta, stappata al termine di una degustazione da botti: La Romanée Grand Cru Monopole 2010 di Domaine du Comte Liger-Belair. L’anno dell’oro olimpico… che vino! Profondo, intenso, ancora giovanissimo ma già con stoffa importante. Un gran regalo, tanto che la bottiglia avanzata ce la siamo portata al ristorante e l’abbiamo onorata come si deve: indimenticabile.
E poi che dirti? Potremmo parlare ore di Borgogna, terra in cui sono andato spesso e dove oggi per bere bene devi mediamente spendere davvero tanto. Preferisco tornare al lambrusco, un’altra goduria a un prezzo accessibilissimo. All’inizio lo snobbavo come si fa sempre con le cose che si trovano vicino a casa, spesso amabile, schiumone, piacevole ma con poca sostanza, (c’è anche da dire che vent’anni fa non c’era la qualità di ora e che la zona è cresciuta molto), ora invece, be’, per il sorbara aziende come Paltrinieri e Bergianti, per il grasparossa Pederzana, per il Reggiano Albinea Canali con la sua spergola, il GranConcerto di Medici Ermete (tra i migliori reggiani in circolazione) e i millesimati di Lini, di posso citare le riserve 2005 e 2007 che per equilibrio e carattere mi hanno davvero conquistato. Be’, son tante, dài, non mi vengono in mente tutte ma… w il lambrusco!

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Arriviamo al rapporto tra vino e sport. Come coniughi la tua professione con la passione del bere?
Sono un atleta professionista e ho 39 anni, diciamo che il corpo nel tempo cambia e ha bisogno sempre di più attenzioni. Bevo molto meno rispetto ai vent’anni, non so se ti sorprenderà ma ora da settembre ad aprile praticamente non tocco un goccio di vino.
Se dieci anni fa potevo mettere un calice al week end lontano dalle gare negli ultimi tempi ho dovuto rinunciare anche a questo per poter stare in peso e condizione. Sono seguito da un medico nutrizionista e, perché mi lasci qualche bicchiere di vino, devo rinunciare alle calorie di qualcos’altro. In autunno e inverno, quando ero più giovane e ancora si poteva, il calice di vino era il mio dessert.
Poi ovvio da aprile, fuori stagione, mi concedo due o tre settimane di sgarri, assaggi, cantine, qualche degustazione con gli amici… questo è il mio divertimento; poi lentamente, da metà aprile a metà giugno, si entra in preparazione atletica quindi ci sta soltanto qualche bicchiere, qualche mangiata, non troppe eh, perché da metà giugno in poi devo essere precisissimo e disciplinato.

Sente il mio silenzio prolungato.

Ci sei ancora? Non ti stupire, io sono un atleta di uno sport individuale dove la mentalità conta tantissimo, sono obbligato a non bere. Sugli sci si va forte e il rischio di farsi male è elevato dunque bisogna stare sempre sul pezzo. E poi ti dico… la maggior parte del tempo sono allenamenti e spostamenti, si scia davvero poco, ma quel tempo deve essere di qualità: la verità è che per qualche ora tra i pali si sta in ballo 200 giorni. Se pensi che le nostre gare durano 50 secondi lo capisci anche tu che tutto deve essere finalizzato a questo.

Ancora silenzio.

È un lavoro, come gli altri, fatto di preparazione atletica: palestra/campo sportivo e discese in montagna. Due allenamenti al giorno: uno principale e uno di contorno, circa 12/13 allenamenti a settimana, qualche recupero con fisioterapia e cure, poi dipende dai periodi, ma il corpo è uno strumento per noi. Ci vogliono anche tecnica, sensibilità sullo sci, materiali… se un anno sei al massimo e i materiali no: addio podio. Poi, certo, il talento, ma questo senza voglia non basta: devi desiderare la vittoria, devi desiderare avere qualcosa più degli altri anche quando può voler dire bere un calice in meno.

E nei mesi in cui non bevi… come te la gestisci? Io ho fatto un mese senza vino e stavo impazzendo…
Eh, mentalità. Ma una cosa la faccio: il giorno dopo la gara, quando torno a casa, scendo in cantina e nel silenzio guardo le mie bottiglie, la mia acetaia… non penso più allo sci ma le mie passioni sanno distrarmi, è una meraviglia anche immaginare una bevuta, saper aspettare.

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Acetaia?
Faccio l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop.
È continuare una tradizione di famiglia, mio nonno ha fatto la prima batteria, poi ho cominciato anche io e due anni fa abbiamo inaugurato e dato il via alle vendite al pubblico. Sai, qui in Emilia si faceva partire la batteria d’aceto quando nasceva una figlia e poi, al matrimonio, le veniva data in dote. Solo i signori potevano avere un solaio per mantenere un prodotto così costoso. Poi la cosa si è allargata e tante famiglie reggiane creavano una batteria per la nascita di un figlio o una figlia. Io, infatti, ne ho appena fatta un’altra, sai bene perché. Mi piace il fatto che dalla nascita poi ci voglia tempo perché l’Aceto Balsamico Tradizionale sia pronto perché ci vuole cura, il prodotto acquista qualità nel tempo, con il tempo.
Allora… si segue l’antico metodo dei travasi e rincalzi, una sorta di metodo solera in botticelle di legno, ma in realtà è molto di più. A raccontarlo per bene ci vorrebbero ore, meglio se vieni a vederlo dal vivo. Comunque, la faccio breve e te la semplifico: l’uva dei lambruschi, a volte il trebbiano di Reggio Emilia, viene cotta, poi fermenta e viene acetificata in modo naturale dagli acetobatteri. L’alcol diventa acido acetico tramite un processo lento e il liquido una volta pronto viene messo in botticelle di dimensioni diverse, queste sono la batteria: il modo per far maturare il mosto cotto certificato. Dopo 12 anni di rincalzi, ovvero di riempimento delle botti con il fermentato acetato del nuovo anno, si può prelevare una piccola parte della batteria. Ed ecco il miracolo: il vero aceto balsamico reggiano.

Qui Giuliano, appassionatissimo e gran gourmet e, in verità, anche Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP (una nicchia di eccellenza che coinvolge 58 produttori), si dilunga in abbinamenti aceti balsamici piatti che solo a sentirli viene fame; l’argomento però è vastissimo e troppo interessante per ridurlo a poche righe, lo rimandiamo a una visita all’acetaia con degustazione.

Ho la sensazione che riguardo al vino tu non mi abbia detto ancora tutto, corretto? La tua cantina nasconderà dei segreti.
Come ogni cantina che si rispetti, dài. (Ridiamo). Ma il primo vino che bevo dopo la stagione è un rosso, di solito sempre nebbiolo… il Monprivato di Giuseppe Mascarello, i Barolo di Giacomo Conterno, Rinaldi, Burlotto, Giacosa, il Barbaresco Montestefano di Serafino Rivella… riservo i bianchi e gli spumanti all’estate. Ah, d’estate, a fine cena, a volte mi va di stappare un Amarone: Quintarelli, Monte dei Ragni, Dal Forno, Zymé… me lo bevo a 20 gradi e altro che meditazione. Non seguo mode, vedi, ma i nomi son sempre quelli. Quelli che ormai stanno dappertutto. Sai che ti dico? Odio Instagram. Sono vini che compro da vent’anni, una cassa, mica di più, ma pensare che ora sono diventati inaccessibili… è un peccato. Una volta le cantine te le dovevi andare a cercare, dovevi leggere, studiare, avere passione… ora con i social ci sono i trend e va a finire che vince la speculazione.

Speculazione o no, cosa aprirai per festeggiare la nascita di tuo figlio?
Son stati giorni intensi e ancora non ho aperto nulla ma… stai certo che si farà una grande festa, all’emiliana, non c’è bottiglia che non si può stappare: apriamo tutto!

Quello che è certo è che la “sosta obbligata” stimola di continuo la curiosità di Giuliano, così consapevole che nel vino non ci si possa considerare mai arrivati: “Vorrei girare di più, assaggiare di più”, ha ripetuto spesso. Resta la sensazione di una mente aperta, che ha bevuto molto più di quel che traspare qui, con una cantina vasta e profonda e bottiglie conservate come ricordi cari. Ma il suo animo è così genuino e buono che sono certo saprebbe aprirle (le apre e le aprirà) con la compagnia giusta, senza che nessuno chieda, solo perché lo suggerisce il momento. E questo è quello che poi è il vino, una passione che fa incontrare, una festa che può essere attesa, rimandata, ma che prima o poi si celebrerà.

[Tutte le foto vengono dal profilo Instagram di Giuliano Razzoli]

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Marco Colabraro

Nato a Milano, sangue misto polenta e peperoncino. Di ritorno da un viaggio in Eritrea si iscrive all’Accademia d’Arte Drammatica e fa l’attore per un po’, poi fugge nella Parigi dei bistrot, a Roma corregge romanzi in qualche casa editrice e cambia lavoro ogni tre mesi circa. Torna a Milano, beve per amore dell'ebrezza e della conoscenza, il suo piatto preferito è la pastasciutta al pomodoro.

5 Commenti

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Vinogodi

circa 3 mesi fa - Link

...ciao, Razzo...

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Giuseppe

circa 3 mesi fa - Link

Gran bell'articolo, complimenti all'autore e, ancor piu`, all'intervistato, traspare davvero una gran bella persona!

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Mattia Grazioli

circa 3 mesi fa - Link

Lui, Inner, Tomba, Girardelli, Miller, Stenmark, Thoeni… tutti appassionati di vino. Paris di birra e in buona quantità.

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Alessandro

circa 3 mesi fa - Link

Bellissimo articolo, complimenti e complimenti anche a Giuliano . Ragazzo competente e che in questi anni si è fatto una esperienza notevole, proprio grazie alla sua passione . Penso che avete coinvolto la persona giusta e che in futuro sicuramente affinerà le proprie competenze .

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marcow

circa 3 mesi fa - Link

Condivido il commento di Giuseppe. Traspare una una bella persona. E un grande atleta se pensiamo che ha 39 anni. Il grandissimo Tomba si ritirò a 32 anni. ---------- Dell'interessante intervista due passaggi mi hanno particolarmente colpito: 1- Giuliano Razzoli: "... io bevo da vent’anni e non seguo le mode. Sai, tutte hanno i loro limiti: prima nei barricati si sentiva troppo il legno, ora si cerca la bevibilità ma spesso ci sono vini che sanno di poco, poi l’esaltazione del difetto… insomma, un vino per me deve essere buono. E poi c’è il gusto personale" (Giuliano Razzoli) 2- Conclusione dell'intervista: "Ma il suo animo è così genuino e buono che sono certo saprebbe aprirle (le apre e le aprirà) con la compagnia giusta, senza che nessuno chieda, solo perché lo suggerisce il momento. E questo è quello che poi è il vino, una passione che fa incontrare, una festa che può essere attesa, rimandata, ma che prima o poi si celebrerà"

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