Taste Alto Piemonte 2024 | Poche (ma belle) scoperte, tante conferme e due certezze granitiche

Taste Alto Piemonte 2024 | Poche (ma belle) scoperte, tante conferme e due certezze granitiche

di Giorgio Michieletto

Prima certezza: di Alto Piemonte si parla molto, ma si beve ancora troppo poco.
Seconda certezza: chi ama il nebbiolo non può non amare queste zone.
Fine delle certezze.

Quel che segue sono appunti sparsi da condividere dopo molti assaggi fatti al Castello di Novara durante Taste Alto Piemonte 2024, annuale manifestazione di riferimento per chi conosce o vuol conoscere la zona. Quest’anno tante conferme, poche ma belle scoperte e qualche riflessione a ruota libera.

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In un Boca se non trovo l’arancia amara non sono contento. E in quello 2020 di Tenute Guardasole c’è tantissima scorza, poi un favoloso sottobosco, pepe nero, timo. L’azienda agricola di Marco Bui che lavora in biologico è cresciuta di anno in anno e con questo Boca ha fatto il salto di qualità, che sarà completo con l’annata 2021 (assaggio da botte molto promettente).

Se il Boca 2020 di Davide Carlone – di solito sempre fra i più convincenti – ha forse ancora bisogno di tempo (il naso è esuberante, ma la bocca appare un po’ priva di tensione), la sua Croatina 2019 Colline Novaresi Doc (da una vigna di 80 anni su suolo vulcanico) è una goduria golosissima. Una bottiglia che vorrei sempre avere in cantina. Da segnalare il restyling delle etichette, in corso fra l’altro anche per un’altra storica cantina della zona, cioè Podere ai Valloni, che produce il Boca più mediterraneo della denominazione: Vigna Cristiana 2015, che sfodera un balsamico definitivo e sfaccettato.

Silvia Barbaglia invece presenta un “piccolo” nuovo vino che ha un grande futuro: si chiama Cascina del Buonumore ed è un Colline Novaresi Doc Rosso 2022 prodotto con le stesse uve utilizzate per il Boca ma provenienti dai vigneti più bassi. Nebbiolo e vespolina che fanno solo acciaio: l’impronta del porfido e del vulcano si trova nitida e il sorso è trascinante. Un vino davvero centrato.

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Capitolo Bramaterra.
Oltre ad avere un nome bellissimo ed evocativo, questa è la Doc dell’Alto Piemonte in cui negli ultimi tempi troviamo maggior fermento e anche una qualità media incredibile. Lo avevamo raccontato qui e, due anni dopo, da questo evento usciamo con la conferma. Il riferimento di questa denominazione resta Odilio Antoniotti: il suo Bramaterra 2020 ha già tutto ed è incredibilmente pronto. Complesso, ma modernissimo, sorso agile: lo puoi leggere a più livelli ed è al momento tutto quello che vorrei in un bicchiere. Altra conferma il Bramaterra Cascina Cottignano 2019 di Colombera & Garella: floreale elegantissimo e un perfetto equilibrio. Se l’enologo Cristiano Garella è ormai un punto di riferimento per tutto il territorio, da tenere d’occhio è la giovane cantina di Lorenzo Ceruti a Casa del Bosco (Sostegno): vini agili, di sottrazione e ispirati.

Non più una scoperta la raffinatezza di Fabio Zambolin (Feldo, Coste della Sesia Rosso e Vallelonga, Coste della Sesia Nebbiolo) vignaiolo di Cossato di gran talento. Fabio lavora anche nel team di Le Pianelle, cantina di Brusnengo chesul Bramaterra non sbaglia un colpo  (all’assaggio però l’annata 2019 è molto più in forma della 2018, invece un po’ seduta). Altro vino della giornata – dopo Antoniotti – è sempre il Bramaterra Balmi Bioti 2019 di La Palazzina. Chi ha dubbi sul riconoscimento “minerale” dovrebbe assaggiarlo. Sapidità e profondità incredibile, quasi salmastro e un frutto (di bosco) carnoso e fuso con la parte balsamica.

Nota a margine: chi usa il cemento in vinificazione ha una marcia in più. In tutto l’Alto Piemonte. Dove fra l’altro l’unico punto debole per molti resta purtroppo la gestione dei legni.

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Quasi scontato dire che i Gattinara di Antoniolo sono sempre ineccepibili e fotografano con precisione le differenze fra i vari cru (c’è un derby tra tifosi di Osso San Grato e quelli di San Francesco); un po’ spiazzante invece l’assaggio di Franchino. Ho sempre pensato che quello della cantina di Alberto Raviciotti fosse il Gattinara più Gattinara, quello da far assaggiare a chi ama questo territorio e anche a chi non lo conosce, a volte quasi divisivo per la sua caratteristica nota ferrosa ed ematica. Che però nella 2020 non c’è (ancora?): sorso in un certo senso più “lessoneggiante”. Bel vino, sia chiaro, ma molto “meno Gattinara”.

A proposito dei Lessona.
Ogni tanto devo ricordarmi che classico non sempre è sinonimo di noioso o troppo tecnico. Il San Sebastiano Allo Zoppo 2016 di Tenute Sella è un vino che chiunque dovrebbe assaggiare per ripassare la precisione nel bicchiere. Forse subisco il fascino di un vigneto storico, ma questo vino sembra proprio l’emblema della sapidità e dell’eleganza delle sabbie di questo territorio. Utile ripassino soprattutto per chi abusa di legni piccoli e forse non ha del tutto chiara la differenza fra evoluzione ed ossidazione.

Tornando alla zona di Gattinara. Avendo qualche pregiudizio (forse sbagliato) sulla produzione di metodo classico da nebbiolo non avevo mai approfondito di vini di Delsignore, una delle prime aziende della zona ad averci creduto: le sue due bollicine sono senz’altro interessanti, ma Il Putto 2019 (l’unico Gattinara da botti grandi della linea aziendale) è proprio un grande Gattinara-Gattinara.

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E la vespolina? È buona quando ti butta sotto una cascata di pepe e ti viene voglia di berla anche un po’ fresca d’estate. Senza tante pretese… senza legno. In ordine di podio: Paride Chiovini, Francesco Brigatti, Mirù.

I bianchi della zona (a base erbaluce che non si può dichiarare in etichetta) appaiono sempre un po’ troppo ingessati: Rinaldi presenta Costa di Sera dei Tabacchei, 2023 ancora scomposta che ha bisogno di bottiglia per tirare fuori (oltre al sale) il potenziale che ha. Il più convincente (come d’altra parte tutta la linea della cantina, che ha come punta di diamante il Fara) è il Colline Novaresi bianco Lucia di Francesca Castaldi.

Scarni gli appunti sui Sizzano (il più interessante è senza dubbio quello di Paride Chiovini, assaggiato in magnum) e sui Ghemme, che mediamente sono apparsi un po’ sottotono con poca dinamicità e legni spesso da smaltire. Due conferme di qualità: Mazzoni Viticoltori con Dei Mazzoni e Ai Livelli, nonché Francesco Brigatti con Oltre il bosco 2019, anche se vorrei avere sempre una damigiana del suo “semplice” Colline Novaresi MotZiflon.

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Giorgio Michieletto

Giornalista professionista: ieri cronaca nera, oggi rosa. Ieri, oggi e domani: rosso, bianco & co. Varesino di nascita e cuore, milanese d'adozione e testa. Sommelier Ais. Se c'è una storia la deve raccontare.

2 Commenti

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Mattia Grazioli

circa 1 mese fa - Link

Vini che si lasciano bere con gioia. Sono pochi produttori, ma, nella media, preparati e coscienziosi.

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Simone

circa 1 mese fa - Link

Grazie per la panoramica, il chiosso c era? La produzione dell' eccezionale titolare de la Capuccina prosegue? Un saluto

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