[Op-ed] Lupi, grandine e fungo mangia-plastica. Ovvero: che vino berremo domani

[Op-ed] Lupi, grandine e fungo mangia-plastica. Ovvero: che vino berremo domani

di Stefano Cinelli Colombini

Cosa lega lupi, grandine, fungo mangia-plastica e vino? La natura, ovvio, che è una roba potente. Mi è venuto in mente l’altro pomeriggio, mentre bevevo il caffè con un’amica che per studi è fisica ma per lavoro è stata una funzionaria dell’ONU al massimo livello. Proprio al top. Stavamo seduti in una splendida veranda che guarda Montalcino e lei, da buona onusiana, diceva che sui gas serra abbiamo rinviato troppo a lungo, e rimediare ci costerà lacrime e sangue. Ammesso che ce la facciamo.

Vero, la situazione è terrorizzante. Però sono un agricoltore e convivo con grandine, siccità, piogge torrenziali e tutte le sette piaghe d’Egitto. Più qualcun’altra. Per superare le infinite calamità, l’uomo ha creato gli Dei e gli agricoltori una scienza: l’agronomia. La scienza che ci nutre. Ha esordito otto millenni fa con la domesticazione di piante e animali, e si è inventata la terra-formazione. Ovvero la creazione di campi coltivabili e la regolazione delle acque.

È l’agronomia che ha nutrito noi tutti, e lo ha fatto modificando gli equilibri naturali a vantaggio dell’uomo. Provo a spiegarvelo con un raccontino, so che un problema complesso non si può limitare a un paio di supposte relazioni causa-effetto, ma facciamoci una risata. Quando i nostri avi sono arrivati in Toscana, i lupi sgozzavano gli armenti, i raccolti se li sbafavano gli ungulati e i polli erano preda delle volpi. Per poter vivere qui hanno stabilito un nuovo equilibrio, basato sulla pentola: se li sono mangiati. Quasi tutti.

Da mezzo secolo la fame degli agricoltori è finita (quasi ovunque, ndr), la caccia sfrenata agli ungulati è stata limitata e, di conseguenza, quelli si sono moltiplicati come i lemming: addio raccolti. Ma la natura aborre il vuoto e, se il contadino abdica da grande predatore, ne trova un altro. I lupi hanno scoperto che il “banco della carne” si era ampliato, e si sono moltiplicati per mangiarlo tutto. Fine dell’eccesso di ungulati.

Avremo un nuovo equilibrio e, forse, non recinteremo più le vigne con fili spinati degni di Verdun. E qui vorrei farvi notare che la prima domesticazione, quella che ha generato la civiltà, è avvenuta in Medio Oriente. I semi e gli animali che usiamo si sono evoluti lì, in un clima semi-desertico ed estremo. Molto simile a ciò che temiamo arriverà con il riscaldamento globale. Lo stesso vale per i sistemi di gestione di campi e acque che usiamo ancora oggi. Questo rende ragionevole supporre che l’agricoltura potrà adattarsi, dovrebbe essere una buona notizia ma nessuno ne parla.

Nei moltissimi dibattiti in TV sul nostro tremendo futuro, invece, ascoltate climatologi, ecologi, etologi, economisti, sociologi, fisici e perfino Greta, ma manco un agronomo. Nemmeno uno. Eppure l’agronomia è la scienza che trasforma i problemi in opportunità, in ogni clima, è quella che ha a saputo trasformare piogge torrenziali su pendii impossibili in risaie, inquinanti in concime e animali che predavano i raccolti in cibo. Perché escluderla? Posso osare un pensiero deviante?

Forse perché questo mondo si è così staccato dalla natura che ormai la vede come una Dea. Gli Dei si adorano, e invece l’agricoltura la usa. Usare non è carino. In questo mondo ormai solo urbano chi trasforma le foreste in campi e scaccia Bambi non va, chi è cresciuto a cartoni animati non può amarlo. Gli agronomi sono out, questo è il tempo degli etologi. Ma forse è un pensiero troppo contorto, torniamo alle vigne.

Che fare in un clima che cambia? Siamo fortunati, la vite è una piantaccia che resiste (quasi) a tutto. Però, visti i tempi bigi, è meglio sbarazzarci dei sogni. Non è vero che si può piantare tutto ovunque, che più fitto è meglio è, che più basso è meglio è, che sistemi di allevamento che richiedono troppe ore di lavoro per ettaro o trattamenti infiniti siano sostenibili; non lo sono. Non più.

Basta con un concetto di biologico solo romantico, basiamoci sulla realtà del danno ambientale. Ad esempio, il rame è un metallo pesante, e il fatto che lo si sia sempre usato non lo rende meno tossico; sostituiamolo con prodotti di sintesi che lasciano meno residui nell’ambiente e richiedono meno passaggi che inquinano e rendono il suolo duro come il cemento.

Basta con leggi regionali che mettono troppi ostacoli privi di senso alla costruzione di bacini idrici medi e grandi; quest’anno piove, ma magari l’anno prossimo no e rimpiangeremo tutto quel ben di Dio che abbiamo lasciato scappare a fare disastri in valle. Potrei continuare all’infinito.

Con tutto ciò non è affatto detto che non faremo più grandi vini, grano, carne o fragole, solo che per poter continuare a farli dobbiamo usare la scienza, ovvero l’agronomia, che è l’unica che funziona anche in situazioni estreme. E ne avremo tante, è sicuro. Un punto vitale; non dobbiamo più lasciare che il termine “ambiente” sia sfruttato dagli anti-scienza, quelli che bruciano il riso fatto per non essere attaccato dal Brusone, e da chi si maschera da ambientalista per combattere battaglie che con l’ambiente non c’entrano nulla.

Perché l’ambiente non è di sinistra, di destra o di centro, non è pro-capitalista o anti-capitalista; è di noi tutti. Per favore, passiamo a un ambientalismo vero, basato solo sul controllo scientifico e misurabile del danno ambientale. Non facciamoci più incantare dal racconto di quanto era bello il mondo antico, quello con l’aratro trainato dal bove e il piccolo podere autarchico; non era bello, faceva morire di fatica la gente per ottenere un raccolto magro.

Dobbiamo evolvere con il mondo che cambia, e per farlo ci vogliono poche regole chiare, ben fatte e applicabili. Servono tanti controlli, perché c’è chi è parecchio furbo. Perché chi dà lavoro al nero e lascia morire i braccianti ci rovina tutti. Perché viviamo di ambiente ma anche della straordinaria bellezza di questo Paese, e quando la deturpiamo commettiamo un crimine che nessuno ci perdonerà mai. Oltre che un danno economico immenso.

Ma l’Italia è viva, e la uccidiamo anche se la trattiamo come una mummia; bellissima, ma assolutamente morta. Se riusciremo a far convivere tutto questo, ho fiducia che berremo ottimi vini fino alla notte dei tempi. Ah, e il fungo-mangia-plastica? Giusto. Dicono al TG che ne hanno scoperto uno nell’Oceano Pacifico e, a mio modo di vedere, questa è la dimostrazione che Darwin è molto più forte del nostro pessimismo; se una risorsa è abbondante, per quanto tossica e di sintesi che sia, la natura trova qualcosa che se ne nutre. E che poi si moltiplica, e così elimina gli eccessi non sostenibili.

Il mondo non finirà, ma non perché diventeremo tutti santi; sopravviverà perché l’ambiente è nostro alleato, ed è molto più potente di quanto crediamo.

[Immagine WWF]

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Stefano Cinelli Colombini

Nato nel 1956 a Firenze da un'antica famiglia senese, è il titolare della Fattoria dei Barbi a Montalcino. Membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del Vino e dell’Accademia dei Georgofili, è un grande appassionato di storia, arte e musica classica.

18 Commenti

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Erik del monte

circa 2 mesi fa - Link

Stupendo articolo. Da misero agrotecnico e cantiniere non cambierei una parola

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Franca

circa 2 mesi fa - Link

Approvo in toto

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giuseppe mennella

circa 2 mesi fa - Link

Bravo Aggiungere che la natura e l'ecosistema andranno avanti e si adatteranno, gli esseri umani potrebbero non farcela a restare

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 mesi fa - Link

Vero, il pianeta è sopravvissuto a cose molto più più distruttive di noi, però non sottovaluterei l'adattabilità degli esseri umani. Casomai può morire la civiltà, che è una roba fragile e pure nuova.

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Enrico togni

circa 2 mesi fa - Link

Concordo su tutto tranne sul fatto che la chimica di sintesi sia una soluzione, proprio perchè esiste l'agronomia basiamoci su quella e piantiamo la varietá giusta nel posto giusto (prima regola di una buona agricoltura). Oppure affidiamoci a varietá nuove, scoperte o create, la soluzione che passa dalla chimica é la strada facile e breve, ma non sono così sicuro sia la migliore.

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Roberto Stucchi Prinetti

circa 1 mese fa - Link

Stefano, non ci conosciamo bene, ma ci diamo del tu se non ricordo male. Come sempre mi piace come scrivi, e mi piace la tua capacità di sintetizzare in maniera efficace temi complessi. Apprezzo la tua visione possibilista, molto utile in tempi di catastrofismo e di nichilismo dilagante, che spesso portano all’immobilismo. Trovo generoso, in senso buono, il tuo retrodatare l’agronomia di quasi 8 millenni, e di attribuirla agli agricoltori. Concordo con questa visione che attribuisce valore scientifico alle pratiche agronomiche. Di alcuni punti di disaccordo mi piacerebbe parlarne a voce, a tavola, con vino e cibo davanti! Quando e dove vuoi te, se vuoi. Ti chiederei perché la tua natura generosa verso l’agronomia in genere, si abbina ad un giudizio così ingeneroso, ed una definizione quasi caricaturale di ambientalismo, e agricoltura biologica. Anche la scienza agronomica si evolve, e i frutti più maturi sono le varie “correnti” che si basano sull’agroecologia, che da agronomo teorico e pratico in Chianti Classico considero l’agronomia contemporanea e futura, non una deriva romantica. In Chianti Classico il Bio ha superato il 50% molti anni fa, quindi forse è qualcosa di più di un Agricoltura Biologica, Biodinamica, Rigenerativa, Permacultura, Agricoltura Sinergica… e financo il filone di Fukuoka, sono scienza agronomica contemporanea, sia perché praticate da migliaia di agricoltori, sia perché sono basate sull’agroecologia, che per me è l’agronomia per eccellenza del XXI° secolo, anche se nasce nel XX°. E queste scienze agronomiche contemporanee sono evolutive nel senso migliore della parola: l’evoluzione (dicono i sapienti), trascende, ma ingloba gli stadi precedenti. Perché ogni stadio ha il suo perché, cioè, anche l’agronomia “convenzionale” e “agroindustriale” del XX secolo ha ancora molti aspetti utili, ma è in scadenza, se non scaduta. Però, vista la gravità della situazione climatica, e in generale della biodiversità sul pianeta, abbracciamo l’evoluzione (l’agroecologia) mantenendo quello che di positivo ci ha dato il passato. A quando una cena per parlarne di persona?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

É sempre un piacere parlare di queste cose davanti a un buon bicchiere, ti aspetto a Montalcino o a Scansano, dove vado d’agosto. Non sono affatto contrario all’ambientalismo, figurati, ero poco più che bambino e il mio noto zio prof. Enzo Tiezzi già mi usava per studiare le tabelle del Club di Roma e fare i più improbabili esperimenti sull’impronta ambientale. É solo che vorrei un bio basato sulla quantificazione dell’impatto sull’ambiente, e non sul “facciamolo come i nostri nonni”. Per questo penso che il rame dovrebbe essere sostituito da qualcosa a minore impatto. Anche se di sintesi. Io nelle mie vigne uso solo letame di pecora maturo, ma siamo otto miliardi e non è possibile nutrire tutti senza fertilizzanti chimici. Per come la vedo io dovremmo usare la migliore tecnologia per fare una agricoltura che dia due risultati: i minori impatti possibili, e un pasto a tutti. Senza ideologie. So bene che il chilometro zero o i presidi slow sono meglio, ma qui e ora c’è chi muore di fame.

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Gabriella Gregorio

circa 1 mese fa - Link

Ciao Stefano, come va? Grazie per questo articolo, pieno di fatti e riflessioni che condivido, oltre ciò e per continuare la conversazione che hai iniziato, riguardo alla prima rivoluzione agricola, avvenne nella cosiddetta Mezzaluna Fertile proprio perché c'erano le condizioni climatiche e geografiche per passare da comunità di cacciatori-raccoglitori a società di agricoltori-allevatori e poi commercianti. Soprattutto, senza la prossimità ai fiumi e l'accesso all'acqua, non ci sarebbe stata lì la culla della civiltà. Poi bisogna anche riconoscere le enormi capacità di adattamento dell'uomo, e quando non c'era fertilità per le esondazioni e il conseguente formarsi di limo fertile, si compensava con la resilienza, con l'uso ragionato delle risorse idriche, opere idrauliche e irrigazione, nonché grazie agli avanzamenti in tanti campi dello scibile umano.Per questo vorrei espandere la visuale, aggiungendo che non basta l'agronomia per agire e risolvere situazioni complesse ed estreme. Faccio un esempio proprio da quella zona del mondo dove è iniziata la civilizzazione, che oggi vive in uno stato di profonde tensioni e conflitti proprio per le acque contese, per il controllo e accesso di un bene in diminuzione (incidono la cattiva gestione e infrastrutture con ampio danno ambientale, l'aumento della popolazione e un uso non sostenibile di questa risorsa, il cambiamento climatico, i difficili rapporti tra Stati e il fragile raggiungimento di una cooperazione regionale). In Siria, è stata la siccità prolungata ad esacerbare il disordine politico e il conflitto, in un paese già segnato da pratiche agricole non sostenibili e da una pessima governance.Quello che sta accandendo e accadrà con i cambiamenti climatici è proprio anche l'acuirsi di tensioni e conflitti per la codipendenza da risorse naturali, e la loro cattiva gestione. Non basta l'agronomia a risolvere tutto (tra l'altro neanche in Italia), figuriamoci poi se ci sono instabilità geopolitiche e democrazie e/o economie sofferenti o al collasso. Per questo serve un concerto di sensibilità e saperi tecnici (economisti, designer, ingegneri, climatologi, geografi, politici, diplomatici, comunicatori, agronomi, associazioni di agricoltori, incubatori per start-up e imprese, esperti di telecomunicazioni, ecc...) servono la democrazia, la scienza, l'innovazione, l'accesso al mercato e il libero commercio, le infrastrutture, l'istruzione, l'empowerment delle donne, la parità di genere, la politica competente che guidi e faccia le scelte giuste, servono cittadini che riescano a indirizzare i cambiamenti, informandosi, votando, cambiando stili di consumo. Non so cosa accade con l'informazione e i dibattiti nella TV italiana, non credo sia (almeno per me) il modo più edificante per saperne meglio e di più, ci sono altri mezzi per fortuna per ascoltare gli agronomi, e non solo loro! Un caro saluto, G

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Si, certo, la civiltà è qualcosa di molto complesso e per vivere ha bisogno di molte cose. E più si sviluppa, più complesse sono le sue necessità. Questo è ovvio, però primum vivere, deinde philosophari. L'agronomia supplisce al bisogno primario, il cibo. Su quello si può costruire tutto il resto, e senza quello siamo costretti a usare tutto il nostro tempo a mettere insieme il pranzo con la cena, per cui addio civiltà. Parlo di agronomia e non di agricoltura per un motivo evidente, l'agricoltura è solo l'applicazione pratica di quanto è stato messo a punto da un pensiero cosciente, ovvero da una ricerca. Che si tratti di una ricerca empirica che seleziona la vite che da un acino più ricco generazione dopo generazione o delle TEA fatte in laboratorio cambia poco, sempre scienza è. Quello che evidenziavo è che è surreale che l'agronomia (e la sua figlia terra-formazione) sia totalmente esclusa dal dibattito sul climate change. Perché è vero che l'instabilità climatica è alla base della catastrofe ambientale del medio oriente, ma è anche vero che l'unico modo di invertirla è una agricoltura adatta al cambiamento che sappia trarre vantaggio dalla mutata situazione. Cosa che è tecnicamente possibile, si può fare. Certo, se poi la follia porta al potere governi che mandano a catafascio l'economia, e/o opprimono i loro popoli, e/o invadono i vicini, e/o seguono ideologie balorde fino alla distruzione di tutto allora diventa dura, e perfino il Venezuela che ha tutto può passare in una generazione da paese ricchissimo alla morte per fame. Esopo parlava del rospo e dello scorpione più di due millenni fa, già allora lo sapevano.

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Gabriella Gregorio

circa 1 mese fa - Link

Buongiorno, apprezzo il contributo nel campo dell'agronomia, ma non è sufficiente ragionare e agire da agronomi per risolvere le problematiche e crisi cumulate in un mondo così interconnesso, dipendente dalla produzione e commercio di beni di prima necessità (combustibili fossili inclusi) e nel quale si sta verificando un aumento consistente della popolazione e dell'urbanizzazione. In questo contesto globale poi, le instabilità non sono mai circoscritte ma hanno un impatto sull'agricoltura, sulla produzione, costo, disponibilità e approvvigionamento di cibo (e non solo di quello) anche altrove, Italia compresa. L'agricoltura, l'allevamento e la produzione di cibo tra l'altro sono parte del problema, ovvero dell'inquinamento e innalzamento della temperatura mondiale. Per raggiungere sistemi alimentari sostenibili, a fronte di un clima che cambia per giunta, ci vuole un impegno serio su più fronti.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Già, è ben altro che può risolvere i problemi del mondo, e l’agricoltura è parte del problema. Mah, se vogliamo ragionare seriamente é evidente che un Maduro o un Mugabe possono facilmente ridurre alla fame perfino i paesi più ricchi del mondo e che alla follia umana non c’è limite ma, idiozie suicide a parte, basta che lei vada in Israele per vedere come una relazione virtuosa tra la più avanzata scienza umana e l’agricoltura può trasformare il deserto in strumento per la produzione di cibo che allo stesso temo riduce l’eccesso di CO2 e mitiga gli effetti degli sbalzi climatici. Certo che si tratta della collaborazione di ogni branca della scienza, ma l’agricoltura scientifica questo è. Applichi questo a livello planetario, e vedrà se non si trova soluzione a molti problemi. Certo non a tutti ma sa, da qualche parte bisogna pur iniziare.

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Gabriella Gregorio

circa 1 mese fa - Link

A livello planetario bisogna iniziare da tante cose, e cambiare mentalità e abitudini, per esempio ridurre lo spreco di cibo, e modificare il tipo di diete - gli allevamenti di bestiame occupano uno sproposito di terreni agricoli, insieme e alle colture per nutrirli. Nei paesi più ricchi del mondo, c'è uno consumo insostenibile di carne. e di produzione di emissioni dovuto ad esso. Si applicassero tutti a informarsi e a comprendere quante sono le problematiche da risolvere, e che bisogna cambiare. Grazie comunque per aver iniziato questo dibattito che è complesso e non si riduce a un'unica soluzione e intervento. Buona estate, Gabriella

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Ricambio l’augurio di buona estate, e mi permetta un modesto suggerimento; passi un po’ di tempo a guardare qualcuno dei molti documenti sulla natura che passano su ogni tv. Sono molto realistici , i leoni mangiano carne, i bufali vanno in branco e le oche migrano su distanze lunghissime. Proprio perché sono realistici, non vedo tigri che diventano vegetariane o cessano di predare anche l’uomo per evitare l’estinzione. Però lei, e con lei moltissimi altri, suppone che l’uomo cambierà la sua natura, diventerà un animale che non sporca dappertutto, non consuma carne e non spreca. Non nego che individualmente sia possibile, e neppure che sia auspicabile, ma non ritengo realistico basare la pianificazione del futuro sulla speranza che l’intera razza umana lo farà. Per cui penso che sia meglio studiare come fare a far convivere la pestifera, ingorda, esagerata e artistica, poetica e magnifica razza umana con il pianeta terra. La razza umana che esiste, non quella che ci piacerebbe che fosse. Buone ferie.

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Gabriella Gregorio

circa 1 mese fa - Link

Per favore Stefano, non supponga cose che io non ho detto e non mi usi per critiche che deve fare a non so chi. Non aggiunge nulla a una discussione che deve essere di interesse, partecipativa e far riflettere tutti. Grazie e buona continuazione!

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Cat

circa 1 mese fa - Link

Volevo ringraziarla per gli ottimi spunti di riflessione, ma soprattutto per il suo approccio pragmatico e razionale, che oramai è sempre più difficile da torvare, in qualsiasi ambito. Condivido pienamente tutte le sue perplessità sul disciplinare biologico in vitivinicoltura e in particolare sull’utilizzo del rame, che forse rappresenta il paradosso legislativo più grande di questo settore. Volevo però anche condividere a tutti una mia riflessione personale in merito alla mancanza di voci autorevoli (agronomi, biologi, genetisti, tecnici etc.) sulla questione ambientale, riferendomi in particolare al contesto italiano. Le ultime protese di quest’anno hanno messo ancor di più in evidenza la distanza che c’è fra gli agricoltori e le famose misure comunitarie europee (PAC). Questo è dovuto sicuramente, come le hai scritto, anche alla mancanza di professionisti in posizioni chiave in grado di sfatare tutti i falsi miti che girano attorno all’agricoltura (es. la chimica è solo veleno, è possibile coltivare come facevano i nostri nonni, etc.), ma la mia domanda è: questa mancanza di comunicazione è una fatalità, come una grandine appena prima del raccolto, o è una malerba che è potuta crescere indisturbata in un campo incolto da tanto tempo? Gli agricoltori italiani hanno avuto secondo me una responsabilità importante in questo pasticcio, perché invece di organizzarsi e/o fare squadra per impedire che certe leggi fossero promulgate, hanno cavalcato l’onda del “guadagno facile”: fondi per estirpi, per non coltivare o per coltivare il minimo necessario, l’utilizzo scellerato dei prestiti a fondo perduto, l’utilizzo del PSR per comprare macchinari inutili alla loro dimensione aziendale, la conservazione di alcune nicchie privilegiate (tabacco in primis) etc. Penso quindi che sia tutta colpa degli agricoltori? Ma ci mancherebbe altro! La conservazione dei paesaggi e della nostra cultura eno-gastronomica passa principalmente attraverso le loro mani, ma se è vero che la natura ritrova sempre un suo equilibrio, compensando i vuoti, questo non succede nella società e nel mercato, dove purtroppo non è possibile avere quell’atteggiamento di un “agricoltore che convive con grandine, siccità, piogge torrenziali e tutte le sette piaghe d’Egitto”, poiché i cambiamenti umani sono una nostra responsabilità e non si subiscono. Infatti se è vero che avremmo tutte le conoscenze e le tecniche necessarie per produrre cibo per tutti con un minor impatto ambientale, è anche vero che è proprio l’agricoltura stessa a volte a rifiutare certi cambiamenti, non investendo tempo e soldi per trasformarsi in un’agricoltura più attenta ed oculata. Bisogna quindi secondo me sfatare tutti miti, anche quello dell’agricoltore sempre attento all’ambiente e capace di lavorare con una agricoltura di precisione, che prevede una conoscenza, un monitoraggio ed una mentalità che non tutti hanno. Grazie dell’attenzione e spero in una risposta.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Lei ha perfettamente ragione, per molto tempo gli agricoltori (io per primo) hanno praticato una agricoltura poco interessata all'ambiente e alla sostenibilità. Ora molto meno, però ormai il danno è fatto. Ed ha ragione anche quando dice che la maggior parte delle scelte più efferate in agricoltura sono figlie di una cattiva politica e della difesa cieca di prodotti non più vendibili. È vero, però tutto questo non inficia il punto che ho sollevato; il passato è immutabile, ma dobbiamo pensare alle soluzioni. Il presupposto è la riduzione delle emissioni ma, fatto questo, se vogliamo avere un futuro dobbiamo cambiare e uno dei pochi modi possibili (forse l'unico) per risolvere il problema è una agricoltura guidata da una scienza agronomica ben fatta, coscienziosa e ben applicata. Perché è inutile ripulire il pianeta se poi non produciamo abbastanza cibo per i tanti esseri umani che lo popolano. E vorrei anche sollevare l'interesse sul fatto che la comunicazione sul climate change è quasi interamente centrato sul "come era bello il tempo passato", come se Heidi e le caprette potessero nutrire il mondo. Non è così. E, peggio ancora, sul "quanto è bella la natura, ma solo se è incontaminata", come se noi uomini non fossimo parte integrante della natura. In pratica si auspica che regrediamo a cacciatori-raccoglitori (ovvero che ci estinguiamo, perché in quel modo si può sostentare solo qualche milione di esseri umani e non certo gli otto miliardi che siamo ora), e lasciamo finalmente in pace questo pianeta che vivrebbe molto meglio senza di noi, e senza le città e le auto. Trovo profondamente sbagliata questa comunicazione, che sta condizionando le giovani generazioni e non solo. Per favore, oltre agli infiniti documentari ad altissima definizione sulla giungla del Mato Grosso e sui suoi virtuosi indigeni dipinti fate vedere anche la stupenda campagna toscana, terraformata dall'A alla Z con i suoi terrazzamenti, e le sue colline dolci cinte da file di cipressi al tramonto. Tutte cose create dall'uomo, quelle belle colline della val d'Orcia prima erano boschi impraticabili, poi nel trecento pascoli figli di uno scellerato disboscamento che ha creato una catastrofe ambientale pazzesca, ovvero i calanchi e le biancane tipo quelle del Deserto di Accona, che poi l'uomo ha spianato a dinamite un secolo fa creando il paesaggio che ora è Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Ora qui tutto è armonia, arte, bellezza e sostenibilità. Ovvero un equilibrio stupendo e perfetto creato dall'Umanità, solo dall'Umanità. Noi ominidi, o ominini che dir si voglia, siamo tremendi distruttori ma anche magnifici creatori; portiamo fino in fondo quest'ultimo aspetto, e non tifiamo per la nostra estinzione. Ora fa tanto fino, ma sempre suicidio resta. Come l'anoressia, esattamente come l'anoressia.

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Pp

circa 1 mese fa - Link

Forse scrivo troppo in ritardo, ma ero in ferie per una settimana ed ho cercato di estraniarmi completamente dal mio solito mondo. Il dr. Cinelli Colombini è davvero straordinario, lo leggo da tempo con grande attenzione ed interesse e, mi permetterei di dire, anche con affetto, perché, oltre all'indiscussa cultura e ad una capacità di sintesi unica, è anche una Persona umile e generosa, cosa molto rara, almeno oggigiorno. Però, vorrei far notare, per quanto riguarda la produzione di cibo, che il Prof. Andrea Segrè, Ordinario di Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile all'Università di Bologna - si veda ad esempio https://winenews.it/it/nel-mondo-produzione-alimentare-per-12-miliardi-di-persone-ma-in-troppi-non-hanno-accesso-al-cibo_479022/ - ottobre 2022 - non sarebbe molto d'accordo, perché nel mondo la produzione di cibo è sufficiente per 12 miliardi di Persone!!! Ora siamo quasi 8 miliardi di Persone. Allora, forse, il problema non è di tecniche agronomiche più o meno sostenibili, ma, come si sarebbe detto nel '68, di una visione ancora fortemente "capitalistica", anti-umana ed anti-natura. Lo so che può sembrare troppo forte o troppo banale, ma, se qualcuno mi spiega l'eventuale diversa "logica" che sta dietro a tanta iper produzione e spreco di cibo, ne sarò contento.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 1 mese fa - Link

Ē ben noto che le risorse alimentari sono largamente in eccesso, però sui motivi per cui c’è carenza temo che sia evidente che lei avanza motivazioni errate. Il Venezuela di Maduro e dei suoi sodali muore di fame, ma quando era capitalista era uno dei Paesi più ricchi del indo. Lo stesso vale per lo Zimbabwe di Mugabe, per la Corea del Nord della dinastia Kim o per la Cambogia del Khmer Rossi. Ahimè , dispiace dirlo per i nostri idealisti, ma la storia degli ultimi sento anni dimostra che comunismo e fame sono sinonimi, salvo in Cina dove però il regime ha virato più che decisamente verso il capitalismo economico. Temo che lo stesso valga per l’inquinamento, dopo tanti anni ricordo ancora con angoscia la visita che feci a seguito del ministro dell’agricoltura in Germania est dopo il crollo del muro e il bellissimo lago di Toplitz distrutto dal cobalto e l’inquinamento in ogni angolo. Terribile, una dimostrazione di inumanità e disprezzo per l’ambiente e per l’umanità che riempiva di angoscia. Peccato, dispiace che tanto idealismo e tante speranze fossero riposte così male.

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