[Nel dettaglio] Italians do it better | La verità sull’alcol (di Konstantin Baum)
di Maria Rita ManciniMentre il super giornalista e produttore Bruno Vespa, alla presentazione della guida del Gambero Rosso, si lancia in difese sperticate degli effetti salutistici del vino, il Master of Wine Konstantin Baum sul suo canale YouTube tratta questo hot topic con la consueta serietà, fornendo anche una dettagliata bibliografia con link per le fonti utilizzate.
Non avete tempo di ascoltare tutto? Non capite l’inglese? I sottotitoli vi danno l’orticaria?
Nessun problema, ci siamo qui noi perché il contributo di Baum è uno dei pochi di valore e merita di essere riportato.
Quello che segue è un riassunto fedele con qualche commento a margine.
Iniziamo dai fondamentali.
L’abuso di alcol è dannoso. Fin qui tutti d’accordo. Ciò che invece fa discutere non è tanto se un consumo moderato faccia bene – perché è ovvio che nessuno di noi beve un calice di vino per diminuire il rischio di malattie coronariche – quanto cercare di stabilire con plausibile attendibilità i limiti di quello che viene definito “bere responsabile“. Se ne parla con chiunque e ovunque: giornalisti e medici incravattati come si conviene alla prima serata, fashion wine influencer alla ricerca di TikTok virali, veterani del quartino della casa impegnati nel torneo di briscola al circoletto di paese.
Opinioni divergenti, accumunate dal fatto che tutte immancabilmente sono supportate da illustri riferimenti di circostanza. Che tu sia un radical chic neoadepto del movimento sober curious o un irriducibile da osteria, ci sarà sempre uno studio di uno stimatissimo professore dell’università di Oxbridge pronto a dare lustro e rendere inconfutabile la tua teoria.
Questo perché il rapporto tra consumo di alcol e salute è piuttosto complicato e riuscire a stabilire scientificamente ed empiricamente quanto sia possibile bere senza arrecare danni ingenti al nostro corpo è un affare davvero ingarbugliato. Si possono documentare evidenti correlazioni, ma non causalità. Sebbene sia facile dimostrare la connessione tra longevità e consumo di alcol, è estremamente complesso provare come quest’ultimo possa effettivamente modificare l’aspettativa di vita del singolo individuo.
Per farla semplice, ognuno di noi ha un amico che narra di un nonnino vissuto fino alla veneranda età di 110 anni, cambiando donna ogni sera e bevendo ogni giorno un fiaschetto di vino. Facciamo un esempio più valente. La nota rivista scientifica inglese The Lancet riporta che il consumo di alcol da leggero a moderato è stato associato a 23.000 nuovi casi di cancro, ovvero il 2,3% di tutti i casi dei sette tipi di cancro correlati all’alcol. Poi però nello stesso periodico è possibile leggere in un altro articolo che “I rischi assoluti del bere da leggero a moderato sono piccoli e, sebbene non esista un livello di consumo sicuro, sembra ragionevole che la qualità della vita guadagnata da un drink occasionale possa essere considerata maggiore del potenziale danno“. Con buona pace di chi sperava di trovare una risposta definitiva.
Per conferire rigore scientifico servirebbe uno studio di controllo randomizzato sull’impatto che le bevande alcoliche esercitano sulla salute, come quelli che vengono condotti dalle case farmaceutiche per stabilire gli effetti di un farmaco, prima che questo venga messo in commercio. L’ultimo tentativo di portare avanti un simile esperimento è stato interrotto perché il fatto che fosse finanziato dall’industria dell’alcol è stato ritenuto una motivazione sufficiente ad inficiare eventuali considerazioni finali. Ad intricare ancora di più la questione intervengono poi una serie di variabili determinanti nel calcolare i rischi: il quantitativo di alcol delle bevande (un calice di vino o uno shottino di vodka?), i tempi durante i quali la dose viene assunta (in una sola sera o distribuita in una settimana?), nonché le modalità (a stomaco vuoto o a cena?).
Se è difficile dimostrare che bere in quantità ridotte possa anche far bene, è indubbiamente più semplice asserire che non bere affatto sia sicuramente sano. Partendo da questo assioma di semplice comprensione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che “Il rischio per la salute inizia sin dalla prima goccia di alcol che entra in corpo”.
Ed ecco allora che nelle linee guida di alcune nazioni, come il Canada, il limite per uno stile di vita sano scende drasticamente a 1 o 2 drink a settimana. Tra gli integerrimi inquisitori, Baum cita Andrew Huberman, l’uomo dall’aspetto un po’ mefistofelico che nell’immagine di copertina di questo video fluttua sopra un calice come un ectoplasma: neuroscienziato e professore ordinario presso il dipartimento dei neurobiologia della Stanford School of Medicine, nonché autore di uno dei podcast più seguiti al mondo, “Huberman Lab“.
Uno dei suoi episodi più famosi – “What Alcohol does to your body, brain & health” (su YouTube, al momento, 7,1 mln di visualizzazioni e 11.613 commenti, alcuni dei quali davvero molto interessanti) – descrive gli effetti devastanti dell’alcol sul cervello e sul corpo, imputabili anche ad un uso estremamente contenuto. Oltre 7 milioni le visualizzazioni. Peccato che nelle due ore di meticolosa dissertazione solamente due brevissimi minuti vengano dedicati ai benefici che un consumo moderato può comportare. E non è tutto. Così la singolar tenzone tra Baum e Huberman procede a colpi di pubblicazioni scientifiche.
Huberman sostiene che bere più di due drink alla settimana implichi il danneggiamento del microbiota intestinale. Baum risponde che lo studio pubblicato sulla rivista Gastroenterology attesta che il consumo di vino rosso influenza positivamente il microbiota intestinale. Huberman evidenzia la possibilità che si verifichi un assottigliamento della materia grigia. Baum lo corregge precisando che la ricerca in questione suppone anzi che un’assunzione moderata di alcol possa diminuire il rischio di demenza.
Le bevande alcoliche oltre ad avere un valore culturale sono anche una sorta di “lubrificante sociale“, che rende le interazioni tra le persone più piacevoli o qualche volta semplicemente “sopportabili”. Probabilmente ha ragione Konstantin Baum quando afferma che i movimenti votati alla quasi completa astinenza pongano obiettivi irrealistici su larga scala.
Prendiamo il caso della Svezia: monopolio, tasse alte, soprattutto sui prodotti entry-level, ed è vietata ogni forma di promozione. L’azienda pubblica Systembolaget dichiara nella sua mission di voler limitare l’accesso al fine di evitare i danni correlati all’alcol. Vista la politica restrittiva ci si aspetterebbe un riscontro statistico significativo e invece il consumo procapite in Svezia è solo leggermente inferiore alla media dei paesi europei, mentre i casi di disturbi e dipendenze connessi all’abuso di alcol sono decisamente al di sopra della media.
Ma è nelle considerazioni finali che Baum si dimostra ancora una volta un tipo sveglio. Tra la sobrietà e la cirrosi epatica, tra gli estratti di carruba e il binge drinking, c’è una terza via: il modello italiano. Abbiamo un consumo procapite tra i più bassi in Europa e le dipendenze si attestano sullo 0,6% (contro il 5,1% della Svezia). Non amano i nostri politici, non invidiano la nostra burocrazia, aborrono le nostre infrastrutture, eppure i paesi europei ammettono che gli italiani sanno bere:
- Preferiamo il vino e la birra ai superalcolici.
- Mangiamo mentre beviamo.
- Ci piace bere in compagnia, perché è più divertente.
Insomma, italians do it better! Parola di Master of Wine.
1 Commento
Michele
circa 3 ore fa - LinkDov'è che ho già letto tutte queste cose, a parte la poco accurata affermazione "Sebbene sia facile dimostrare la connessione tra longevità e consumo di alcol" e l'associazione, addirittura attribuita a Lacet, tra la qualità della vita guadagnata con un drink occasionale? 😎
Rispondi