Lettera a me stesso da giovane | Salvo Foti de I Vigneri – Etna: i Vini Umani
di Jacopo ManniLa comunicazione – del cibo, del vino e non solo – viaggia veloce e spesso il tempo della riflessione è soggiogato da quello della condivisione rapida e superficiale. Si lancia il sasso nello stagno e si aspetta solo il ritorno di qualche piccola onda, spesso maligna e rude. Qui vogliamo provare a costruire uno spazio di pensiero dal riverbero più lungo di un’onda nello stagno che rapidamente scompare.
Esiste un bellissimo progetto editoriale di un magazine sportivo statunitense al quale mi sono ispirato: Letter to my younger self sul The Players Tribune. La rivista chiede ad atleti famosissimi di tutto il mondo – ormai ritiratisi dalle competizioni – di scrivere una lettera a loro stessi nel momento esatto in cui esordirono nelle rispettive carriere. Per intendersi, gente del calibro di Gigi Buffon, Kobe Bryant, Pete Sampras e tantissimi altri.
Con Lettera a me stesso da giovane ho pensato di fare la stessa cosa però coinvolgendo grandi vignaioli, gente del vino di cui spesso ci appassioniamo e vogliamo sapere più cose possibile, come fossero vere e proprie star. Sono andato alla ricerca del turning point, come lo chiamano in inglese, il momento topico e decisivo nella vita di un essere umano. Il momento degli inizi, il momento degli esordi di una giovane vita che sta anche inconsapevolmente virando verso lidi che solo nel presente poi riusciamo a decifrare. Spesso, non sempre.
Si parla troppo di vino – sentiamo ripetere spesso – ma sempre troppo poco di comunità, di politica, identità e storia. Della storia rurale e sociale del nostro paese. Con Lettera a me stesso da giovane sono andato alla ricerca di pagine non ancora scritte, o scritte solo parzialmente.
Buona lettura e buon viaggio.
Jacopo Manni
Milo, Catania, Agosto 2023
1967 – Salvo Foti con un grappolo d’uva
Ti ricordi, Turi? Non avevi ancora 20 anni, quando “Scassau a Muntagna”. Allora ti chiamavano Turi, solo anni dopo Salvo: tutta colpa del commissario Montalbano!
La vendemmia nelle vigne del nord dell’Etna iniziava ad ottobre per continuare tutto il mese, spesso anche oltre. Quel giorno, il primo di un lungo periodo e per tutta la vendemmia, prendevi la Circumetnea alle cinque di mattina per arrivare alla stazione di Randazzo. Lì ti aspettava Pippo. Appena ti vide neanche ti salutò, ti disse due volte, e di seguito, per rafforzare il fatto accaduto:<<Scassau a Muntagna. Scassau a Muntagna>>
Gli allungasti la mano per salutarlo.
<<Stanotti ci fu nu bottu forti e scassau a Muntagna>>.
Ancora una volta ripeté Pippo, tenendoti la mano, lasciando trapelare una certa apprensione: cosa insolita per il personaggio. Uomo tutto di un pezzo e con poche emozioni apparenti. Tipico di certi montanari etnei.
Quella notte, preceduta da un forte rumore, l’Etna aveva iniziato una delle tante e ricorrenti eruzioni. Il vulcano, in direzione Randazzo, aveva cominciato a vomitare lava. Rispetto alle solite eruzioni la differenza, preoccupante, era la velocità con cui correva la colata lavica in direzione del centro abitato del paese.
Le giornate di ottobre sull’Etna erano spesso piovose e umide, il freddo intenso. Il cielo coperto di rado permetteva di vedere la punta più estrema del vulcano. Quella mattina, la tua prima mattina da enotecnico, dopo un passato di viticoltore con tuo nonno, non ti fu dato modo di vedere l’Etna e la sua nuova colata lavica. Neanche la sera, quando il rosso della lava diventava evidente nell’oscurità e le lingue di fuoco, spettacolari, si innalzavano per centinaia di metri. Il cielo coperto ed il nevischio mascheravano lo spettacolo, lasciando solo all’immaginazione l’immagine di un’eruzione che da lì a qualche giorno avrebbe lambito l’abitato di Randazzo, isolandolo e rendendolo irraggiungibile per chi arrivava da Linguaglossa. Quella notte, era una notte del 1981.
Forse non te ne sei reso conto ma il fiume di lava proseguì incontrastato nel suo cammino sommergendo boschi, vigne e case per poi fermarsi poco prima di raggiungere il fiume Alcantara. Quel giorno non hai potuto vedere la spettacolare eruzione ma ne percepivi l’odore e soprattutto il rumore. Iniziare la tua prima vendemmia da tecnico enologo con la preoccupazione di un’eruzione vulcanica non ti sembrava il massimo, anzi ne eri alquanto preoccupato, ma all’accaduto non hai voluto dar peso, immergendoti immediatamente nel tuo lavoro, per produrre quei vini particolari, unici, etnei, vulcanici, che volevi figli del loro territorio, dei vitigni autoctoni e dei viticoltori etnei. Quanto più originali e puri possibili, senza chimica, senza mode, non il vino dell’enologo ma vera espressione del territorio etneo.
Eruzione dell’Etna
Poi nei giorni a venire, se ti ricordi bene, hai ripensato a questa stranissima coincidenza volendo crederla un monito dell’Etna. Hai avuto una visione e una strana sensazione: era come se proprio quella stessa notte la Muntagna volesse dirti che nel tuo lavoro dovevi preoccuparti non solo di produrre del vino, ma prima di tutto di Lei, del suo territorio, dei vitigni, delle vigne e degli Uomini etnei. Di quelle viti, di quei vini e di quegli Uomini che restano indissolubilmente legati al terreno, alla lava, alla Muntagna, da cui traggono la loro forza, la loro particolarità, la loro energia.
È qualcosa che ti accompagnerà per tutta la vita, caro Turi. Prima di tutto rispettare la Muntagna, nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua unicità. Poi produrre un vino e coltivare le vigne nel rispetto assoluto e nella salvaguardia del territorio. L’Etna è generosa nel dare e determinata nel togliere. Lo hai imparato proprio quella notte che l’eruzione è il modo con cui il Vulcano comunica con la sua gente.
Il cratere centrale dell’Etna, la maestosa estremità del vulcano è stato da sempre, per voi etnei, la prima cosa che guardavate la mattina appena alzati. L’Etna è per voi da sempre un riferimento. Non potrebbe essere altrimenti. È una presenza maestosa, non solo geografica, piuttosto anche fisica e psicologica. Gli anziani agricoltori come tuo nonno, rivolgendo lo sguardo alla bianca sommità del vulcano, hanno assunto premonizioni, auspici, previsioni climatiche. Sono stati loro che ti hanno trasmesso, anche inconsapevolmente certo, il fascino del vulcano Etna. Ricordi che da piccolo non riuscivi ad immaginare la tua terra senza l’Etna e, ingenuamente, chiedevi, ma come fanno gli altri senza “a Muntagna”?
Hai sempre avuto rispetto per gli anziani, per i loro racconti. Hai sempre creduto nelle loro parole, ricche di saggezza e sapienza. Ascoltavi il tuo bisnonno e poi il tuo nonno con grande attenzione, per carpirne tutta l’esperienza possibile. Guardavi i loro gesti, la loro manualità. Erano uomini capaci di parlare e di ragionare per ore senza per questo minimamente distrarsi dal loro lavoro. Riempivano le giornate di gesti fatti migliaia di volte, ormai perfetti. Spiegati con empirismo, spesso con ingenuità, potremmo dire con fede. Gesti accompagnati da canzoni per aiutarsi, per tenere il ritmo. Gesti antichi e secolari ormai facenti parte del loro DNA. Quello che sto per dirti forse non lo crederai possibile, ma è bastata una sola generazione per interrompere questa continuità di gesti e di esperienza.
Innesto di nonno Peppinu
L’opportunità di un lavoro diverso, rispetto al duro lavoro di vignaiolo, ormai obsoleto e non più̀ remunerativo, ha significato l’emigrazione per una intera generazione, tuoi genitori compresi. Una emigrazione dalla terra, dalle campagne e dalle vigne, drasticamente abbandonate per sempre.
Con l’emigrazione è andata via, per non più tornare, gran parte della civiltà vitivinicola siciliana ed etnea. Nel momento in cui ti trovi stai iniziando a rendertene sempre più conto che è iniziata così una nuova era a due direzioni.
Da una parte, quella della vecchia e secolare viticoltura ad opera dei vecchi, sempre più esigua e attaccata ad ondate costanti dalla modernità nelle sue forme peggiori e invadenti, come l’estirpazione coatta dei vecchi vigneti ad alberello e la chiusura dei Palmenti Etnei. Dall’altra, invece, quella dilagante della “moderna” viticoltura finalizzata quasi esclusivamente alla meccanizzazione e alla quantità. Quella dei vitigni alloctoni più produttivi, della riduzione della biodiversità, dei trattori sempre più grandi e potenti, dell’utilizzo sconsiderato dell’irrigazione, degli antiparassitari e della concimazione chimica. Il territorio e la sua vocazione diventati solo qualcosa di marginale. La nuova vitivinicoltura, portata avanti con tutti i mezzi possibili senza che fosse più rilevante il dove e il come, si stava forzatamente adattando ai due nuovi “parametri qualitativi moderni”: massima meccanizzazione e quantità.
Col tempo imparerai a chiamarla: l’agricoltura “disumanizzata”.
Nonno Peppinu, 1971
Questo nuovo criterio produttivo di rapina del territorio si è esteso velocemente ai vitigni, all’uso dei fertilizzanti, agli antiparassitari, con grande giovamento soprattutto dell’industria chimica e meccanica.
In pochissimo tempo si è spazzato via un modello di viticoltura, sicuramente in parte empirico e ovviamente da migliorare, considerandolo come un male, un qualcosa da eliminare definitivamente. Chiudere con il passato, distruggerlo, in modo che non potesse più tornare. Anche nel modo di pensare e fare, il moderno agricoltore di allora, stava assorbendo pienamente questa nuova logica del tutto e in poco tempo, del tutto tecnologicamente possibile. La natura e le stagioni stavano iniziando a non contare più.
So benissimo che stai provando frustrazione e imbarazzo. Ti guardi intorno impotente e incredulo mentre vedi che la politica e il mondo accademico sono tutti d’accordo a professare “l’assoluta modernità”. Ricordati questi momenti e fissali nella tua memoria perché ti assicuro che quelle stesse persone oggi invece dicono esattamente il contrario. Apologia ipocrita.
Tu purtroppo stai vivendo nel momento esatto in cui si è ripetuto ancora una volta un fatto spesso ricorrente nella storia dell’uomo: gli errori politici, in nome del progresso, si ripercuotono prepotentemente sulla sua civiltà, costruita in centinaia di anni, stravolgendola e stravolgendo in poco tempo l’ambiente in cui essa stessa esiste.
Ti scrivo questa lettera anche per rassicurarti e per dirti che passata l’ondata, la piena, di questa nuova logica vitivinicola, è invece subentrata una pressante esigenza di ritornare ai criteri di qualità e territorio della vecchia vitivinicoltura. Di tornare alla Natura. In verità in alcuni casi purtroppo anche in modo patetico. Alcune volte a tal punto da considerare le esperienze dell’ultimo mezzo secolo solo un male da rifiutare senza discussione, tuffandosi in maniera decisa e sconsiderata nell’empirismo più totale. Ingenuamente alcuni, con furbizia altri.
L’insicurezza, la mancanza di valori veri e di riferimenti solidi ha promosso l’era non del vero ma dell’illusione del vero. Complice il marketing (tu ancora non conosci bene il potere fuorviante di questa parola) e una incredibile velocità di informazioni diffuse – e subite, aggiungo io – con sistemi e modi che mai l’umanità aveva conosciuto prima. Ti sorprenderesti di quante notizie e informazioni siano disponibili per noi oggi, e tutte molto difficili da contenere e verificare. Il marketing, con i suoi slogan rassicuranti e spesso falsi, ha iniziato a diffondersi virulento tra il vuoto lasciato da quella “modernità assoluta”. Una modernità che adesso inizia a spaventare e a preoccupare, non essendo più in grado di dare tutte le risposte che aveva promesso. Ma tu lo sapevi già, lo hai letto in tanti libri: l’uomo è avvezzo a passare da un opposto all’altro.
Salvo che ara con il mulo
La strada maestra è quella che ti sei da sempre imposto di osservare con i tuoi Vigneri. Pochi viticoltori autoctoni etnei che hai iniziato a chiamare “taliati u to filagnu” insieme ai quali intraprendere la via della ponderazione, far precedere la conoscenza al giudizio, rispettare i lunghi tempi della Natura a cui non è possibile esimersi in questo Mondo. È solo questione di tempo, prima o poi si pagherà il conto. Sappi che stai iniziando a tessere una nuova tela che crescerà sempre di più, continua così!
In questo tuo percorso stai iniziando a intrecciare insieme concetti ed esperienze della viticoltura del passato (la tradizione) con la conoscenza del presente (tecnica consapevole). Tutto sempre con la giusta e ovvia considerazione dell’innovazione e del rispetto per l’ambiente, quest’ultimo imprescindibile. Una frase ti voglio lasciare per farti riflettere e continuare sulla giusta strada: in fondo la tradizione non è l’innovazione ben riuscita in un lunghissimo tempo?
Sei in un momento della tua vita in cui senti la necessità di tornare al sapere antico, di continuare quell’esperienza vitivinicola secolare, il momento di riconsiderare la vecchia vitivinicoltura dei tuoi avi, dei loro gesti e della loro etica. Hai la febbre di sapere, capire e valutare, con le tue nuove/antiche conoscenze che stai acquisendo, la tecnica empirica di questa antica sapienza vitivinicola. Ma ti accorgerai presto che stanno venendo a mancare quegli uomini, quei viticoltori-custodi, e purtroppo debbo anticiparti che oggi ormai sono pressoché estinti.
Zia Alfia in vendemmia 1974
Essi, anche se vivi, sono troppo spesso dediti ad una inattiva e penosa condizione di pensionati, rilegati dalla moderna società di allora – e anche oggi purtroppo è ancora così – all’inerzia totale. Posteggiati nelle piazze dei tanti paesaggi agricoli non possono più essere insegnanti né maestri sapienti dei nuovi giovani a cui trasmettere la loro antica esperienza. Vedrai che sempre più questi vecchi non avranno voglia e motivo di parlare, e i giovani nessun interesse ad ascoltarli.
Ti sei trovato a far parte di una generazione di vitivinicoltori ed enologi senza maestri diretti e vedrai che purtroppo dovrai edificare la tua esperienza e la tua professionalità solo con i pochi ricordi e con la ricerca tecnica e scientifica, che però non può darti da sola tutte le risposte.
Non è solo la continuità e l’esperienza che la tua generazione di vitivinicoltori aveva quasi definitivamente perso, ma anche gli stessi viticoltori autoctoni, che erano sempre meno, sempre più vecchi.
In questo momento ti stai accorgendo che sempre più viticultori stanno cercando di trovare tra gli immigrati quelli più adatti a fare questo lavoro. Questa, ovviamente, non è una loro scelta, e non lo è ancora oggi, ma una pressante necessità. Non vi è altra soluzione. I figli spesso non fanno e continuano a non fare il lavoro dei loro nonni e dei loro padri. E ti accorgerai che lentamente i figli non avranno più chi insegna loro la cultura vitivinicola. Oggi da noi esiste purtroppo una nuova tecnica, che è tutta da imparare solo sui libri e non da tramandare di padre in figlio. Non vi è più in maniera estesa e territoriale, tra una generazione e un’altra, una continuità o trasferimento di informazioni, di simboli, di tecniche, di civiltà vitivinicola. Ti starai accorgendo che vi è sempre più l’esigenza di dare le vigne non ai figli ma ad altri uomini di diversa provenienza. Uomini e donne costretti ad abbandonare la loro terra e la loro cultura, mossi magari anche dalla disperazione. Persone costrette a sforzarsi per diventare coltivatori di viti.
Ma quello che mi preme dirti e che imparerai molto bene è che dietro una bottiglia di vino oltre il territorio e il vitigno autoctono c’è anche e soprattutto l’Uomo con la sua cultura vitivinicola. L’uomo autoctono a me piace chiamarlo. E lo so benissimo che è proprio in questo momento che stai iniziando a chiederti con grande apprensione e frustrazione: ma chi sarà domani a coltivare le nostre vigne?
Salvo con vecchie bottiglie
L’Homo Etneus, chino sul terreno, rimuove pietra dopo pietra dal suo vigneto. Pietra su pietra, da sempre.
Le ripone una sull’altra per costruire i muri a secco, le terrazze, per contenere il terreno sciolto e sabbioso dove impiantare le sue viti ad alberello che, se ben curate e coltivate, gli sopravviveranno, passando alla futura generazione. È duro il lavoro, tanta la fatica, ma non pesa a chi costruisce il suo territorio, il suo paesaggio. È facendo così che ne diventa parte. Sono le sue cure e i preziosi minerali arrivati dalle viscere più profonde della terra che lo renderanno fertile. Ricordati sempre che il vero uomo dell’Etna è prima di tutto custode della sua vigna, del suo territorio.
Perseveranza, fede, passione e fortuna ti ha insegnato la Muntagna. Ti ha indicato la strada da percorrere, la stessa strada che oggi, dopo tanto tempo, ci ha fatto incontrare. Il tuo pensiero sul vino lo hai elaborato proprio all’inizio di quel tuo cammino professionale e di vita, anni difficili ma evidentemente necessari. Oggi ti posso solo ringraziare, e ti voglio assicurare che non l’ho mai mai abbandonato e lo porto nel mio cuore:
Prima di produrre un vino, impiantare una vigna, coltivare un vigneto, è necessario saper “coltivare” gli Uomini. Formare una comunità, una civiltà vitivinicola cioè, capace di rinnovarsi ma mai stravolgersi, così come le viti con la potatura. Se possibile, avere dei figli a cui trasferire, con onestà e integrità quell’esperienza, passione e la professionalità del vitivinicoltore. Il fine ultimo sarà quello di produrre dei vini sempre “Veri e Vivi”.
Veri perché intimamente legati al territorio etneo, al suolo vulcanico primordiale. Un suolo dove il Nerello Mascalese, il Cappuccio e il Carricante coltivati con l’antico sistema ad alberello, affondano le radici in profondità da migliaia d’anni. E ne assumono la mineralità, l’essenza dell’unicità del clima etneo (un nord nel sud), che li rende dei vini Vivi, mai banali, eleganti e complessi.
Salvo Foti con Franco Battiato – 2008
Adesso ti posso dire che questa strada è la via maestra. Non avere dubbi mai perché percorrendo questa strada hai preso la tua decisione più importante e difficile, credendoci con tenacità, anche se il mondo enologico che ti circonda ora ti dà torto, ti snobba. Quasi nessuno nel 1988 si sogna di coltivare viti e fare vino sopra un vulcano perennemente attivo. Ma con il tuo impegno costante a perseguire quella che da sempre hai considerato l’unica strada possibile, la strada Maestra, sarai in grado di vivere e prosperare sulla tua terra. È una scelta semplice per te forse, ma allo stesso tempo difficile, però è quella che hai ritenuto più retta tra tutte le strade percorribili di questo Mondo, quella che porta all’Uomo.
L’unica strada che ti porterà a produrre dei vini Umani nel pieno rispetto dell’Uomo e del Territorio.
E della tua amata Muntagna.
Grazie,
tuo Salvo.
[Tutte le foto sono state gentilmente fornite da Salvo Foti]
Per chi si fosse perso la altre lettere:
3 Commenti
Carolaincats
circa 1 anno fa - LinkLeggere di Salvo che scrive a se stesso, in quest'annata così sconcertante, mi accarezza l'anima. Grazie.
RispondiPietro Tonicello
circa 1 anno fa - LinkTi ringrazio Salvo della bellissima lettera. Con mio figlio Eric siamo venuti 3 volte da te nella cantina di Milo nella vigna a Passopisciaro. Mio nonno prima di lasciarsi allettare di una terra sua in Libia, era sensale di vino. Io stesso sono nato in Libia, come mia madre e i suoi 10 fratelli e sorelle. Dopo 40 anni è ritornato. A Guardia Mangano c'era qualche parente. A 80 è morto, ero troppo giovane per sapere il suo sapere. Tante storie mi ha trasmesso lo stesso, era una sua vocazione. Ancora grazie Salvo, ti verrò a trovare ad ottobre con mio figlio. Un abbraccio sentito. Ciao.
RispondiOrazio Fazzio
circa 1 anno fa - LinkGentile Salvo. Non la conosco.Ho letto adesso per la prima volta di Lei.La ammiro per i lavoro che fa , per le idee e la passione che mette per difenderle.Ammirevole è pure il rapporto viscerale che ha con il territorio che abbiamo la fortuna di abitare.Profonda ed emozionante la lettera intrisa di poesia che mi ha condotto a ricordarmi di mio nonno materno,bracciante agricolo. Persona umile , buona e orgogliosa del lavoro che gli spezzava la schiena nei vigneti altrui.Mai un imprecazione contro il lavoro massacrante ebbi a sentire da lui.Solo una confusa consapevolezza di svolgere un'attività che gli permetteva di non rescindere il cordone ombelicale che ci lega tutti alla madre terra. Consapevolezza che dietro la gestualità faticosa dello zappare si celassero ,la lotta, e la capacità dell'uomo per affermare il proprio destino che è quello di Vivere.Arrivare alla civiltà attraverso l'evoluzione. E il vino è un esempio di accordo con la natura.Dono generoso non furto violento.Che bella persona il mio nonno.Nella sua sapienza di umile e semplice.Come Lei caro Salvo. Ad avercene di persone come voi!
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