Il Vino di Hugh Johnson | Ecco perché ogni tanto è il caso di riprendere in mano La Bibbia

Il Vino di Hugh Johnson | Ecco perché ogni tanto è il caso di riprendere in mano La Bibbia

di Jacopo Manni

Intravino ha una redazione volante, tutta online. Viviamo il tempo fluido.
In una delle chiacchiere che nel mondo solido sarebbe stata fatta di persona davanti ad un caffè è uscito fuori l’argomento Hugh Johnson con la sua opera totem Il Vino – Storia, Tradizioni, Cultura e la classica frase: “Ma voi lo avete mai letto?”.

Siccome non tutti lo avevano letto ci è sembrata una buona idea scriverne due righe per capire di cosa si tratta. E che sia un libro uscito con la prima edizione nel 1989 è già tutto dire. La cosa intrigante e che ci fa inquadrare subito le cose è che, negli anni, sono usciti molti testi come questo, anche di illustrissimi autori, ma non ne esiste uno che abbia resistito al tempo come quello di Hugh Johnson, non a caso costantemente ristampato e con ormai vari milioni di copie vendute around the world.

Hugh Johnson è britannico. È un figlio emerito e perfetto della upper class anglo-sassone, come tale ha studiato a Cambridge, indossa il tweed, i suoi due hobby preferiti sono ovviamente il vino e il giardinaggio e scrive di entrambi sin da quando è al college. Nel vino è un personaggio supremo, con una sfilza di titoli conferiti da tutti i più esclusivi consessi e contesti esistenti. D’altronde, è storicamente suo anche un altro testo sacro come The World Atlas of Wine, che è arrivato alla ottava ristampa e ai 4 milioni (!!) di copie vendute, tradotte in 14 lingue nel mondo.

Ma tornando a bomba, perché vale ancora oggi la pena leggere un libro uscito nel 1989? Innanzitutto. perché è scritto da dio. Se vi piacciono gli incipit quello di questo testo fa paura per quanto è bello:

Agricoltore e artista, lavoratore e sognatore, edonista e masochista, alchimista e contabile: il viticoltore è tutto questo, e lo è fin dai tempi del diluvio.

Lo stile è colto ma non spocchioso, spiritoso in perfetto stile british e non pretende mai di insegnare nulla. L’autore è uno storyteller di dimensione enorme. Non è uno storico, come del resto nessuno di quelli che scrivono e parlano di storia del vino, e non pretende nemmeno di esserlo. Il suo libro lo chiama The Story of Wine infatti e non The History of Wine. Questa saga è una formidabile, appassionante, profonda e intellettuale opera di divulgazione sul vino.

Utilizzo ancora le sue parole per spiegarlo meglio:

Ai tempi in cui iniziavo a leggere e scrivere sul vino, vi era la consuetudine di associare sempre ai vini più famosi qualche piccolo fronzolo storico… in particolare gli studiosi dei classici amavano ricordare i grandi vini degli antichi ma senza spiegare mai perché l’idea di vino pregiato degli antichi non corrispondeva mai alla nostra… Ci voleva una enciclopedia per rispondere a tutte le domande più immediate che fanno i compratori di vino.

Un libro monumentale che parte da delle domande che si fanno i compratori e i fruitori di vino, decisamente una grande opera di empatia, rispetto e condivisione verso tutti i lettori e i bevitori. Il libro parte dalla notte dei tempi del vino e racconta in successione storica tantissimi fatti e altrettanti aneddoti che hanno fatto del vino una delle merci più straordinarie che l’uomo abbia mai prodotto e commerciato.

L’approccio in effetti è molto british e il commercio è al centro del discorso: questo libro ci racconta perché nei secoli le persone avessero voglia di spendere i propri soldi per comprare alcune tipologie di vino ben specifiche. L’autore ci spiega perfettamente, o almeno questa è la sua mission, perché quei vini e proprio in quel momento storico.

Per capire quanto noi italici siamo distanti da questa concezione così pragmatica e commerciale del vino, ma così tremendamente aperta al mondo, ci sono due cose che mi sembrano fondamentali. La prima è che, nella pagina Wikipedia italiana, Hugh Jonhson viene definito “enologo”, cosa non così infrequente per chi scrive di vino in Italia, mentre la pagina inglese ovviamente lo inquadra come wine writer. Noi quasi nemmeno riusciamo a percepire come un lavoro quello di scrivere e divulgare il vino. Se lavori e ti interessi di vino in Italia sei enologo, come un biologo, cardiologo o archeologo che si rispetti.

La seconda è che, in ben 43 capitoli sulla storia del vino nel mondo, solo 4 sono quelli dedicati in esclusiva all’Italia (praticamente lo stesso peso della Germania in termini numerici). La Francia ne ha quasi il triplo, per intendersi. E questo la dice lunghissima su quanto sia differente la percezione tra quel che vediamo noi e quanto poi invece davvero contiamo in un certo mondo del vino.

Altri elementi fondamentali sono la libertà e il tempo che l’editore inglese ha regalato all’autore per fare ricerche e scrivere questo monumento al vino: oltre 4 anni. Non credo che esista oggi nessun autore, almeno in Italia, che abbia una opportunità del genere per lavorare così in profondità su un testo.

Ma la cosa ancora più bella è che, se non vi va di leggere un libro di quasi 700 pagine, la BBC ne ha tratto una mini serie che trovate tutta su quel incredibile pozzo di bellezza che è YouTube. Buona lettura e/o buona visione.

Il Vino

 

 

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Jacopo Manni

Laureato in Storia Medievale è PhD student in geografia a Tor Vergata con una tesi sulla valorizzazione vitivinicola del Vulcano Laziale. Studia i vini vulcanici e le geografie del vino. Ha un suo podcast sul futuro del cibo. Ha pubblicato libri di cucina per Terre di Mezzo e Armando Curcio e ha scritto podcast sul vino e sul cibo per Chora Media tra i quali Vino Vicino. Vive di vino e studia le sue geografie.

11 Commenti

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VINOLOGISMO

circa 11 mesi fa - Link

Testo fantastico che ho acquistato nel 1993 e letto più volte , lo stesso vale per il suo Atlante...altro blogger , influencer ..ed espertoni vari.. :) :)

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Alvaro pavan

circa 11 mesi fa - Link

Difatti, acquistato 20 anni fa, la cosa che mi colpì era constatare la quasi irrilevanza del nostro Paese....pur essendo Enottria. E questo la dice lunga su cosa manca...

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Vinogodi

circa 11 mesi fa - Link

...le cose enoiche , soprattutto italiche, sono molto evolute, negli ultimi 20 anni, pur apprezzando questo ciclopico lavoro. La Langa, ad esempio, e' diventata una piccola Borgogna , l'Amarone si e' dimostrato un unicum apprezzatissimo piu' all'estero che in Italia, il Lambrusco sta spopolando , il Brunello resiste e il Primitivo la nuova frontiera ( tutti gli amici che mi vengono a trovare impazziscono per queste tipologie). Sono il primo a togliermi il cappello di fronte alla grandeur enologica d'oltralpe, lo si evince spesso dalle mie cazz**te che scrivo, ma , ribadisco, la geografia enologica e' leggermente cambiata ( con Bordeaux in calo...)...

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Vinologismo

circa 11 mesi fa - Link

Per quanto riguarda la langhe , il Brunello e la "rinascita" del Lambrusco sono d'accordo...ma mi spiace, l'Amarone è "fermo" da anni per non dire in crisi visto che ci sono gruppi vitivinicoli che lo svendono a 9/10 euri ...e poi se il Primitivo è la "nuova frontiera" ....con vini con residui zuccherini a 15/20 gr litro .....dai su non scherziamo....

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Invernomuto

circa 11 mesi fa - Link

Il Lambrusco sta spopolando solo nella testa di qualche bevitore e in due province italiane. Il lavoro sul Lambrusco rimane quello di fasce prezzo basse e spesso bassissime e soprattutto su mercati esteri (Nord America). Di sicuro l'offerta è cambiata, ma "spopolando" vuol dire non conoscere il mercato vino italico e non parlare con chi sti vini li vende/compra. Caliamo un velo pure sul Primitivo, mi accodo al discorso dei residui da diabete. Tornando all'articolo, molto interessante, mi vedo le puntate sul tubo

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Nic Marsél

circa 11 mesi fa - Link

Il bigino tascabile mi è stato fedele compagno di viaggio in vent'anni di peregrinazioni.

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Nelle Nuvole

circa 11 mesi fa - Link

Molto bello questo omaggio a un patriarca. Ti sei dimenticato di menzionare le sopracciglia di Hugh Jonshon, molto cespugliose e mobili, che incorniciano uno sguardo intelligente e furbo. Questo infatti è, ed è stato HJ, ottima scrittura divulgativa e ottima preparazione di base. A quei tempo la letteratura British dominava, era un tipo di avvicinamento molto "classico", sia nello stile che nelle scelte. Chi di voi Intravinici era già nato e già maggiorenne nel 1989? La mia personalissima opinione è che questa "Bibbia" venga ora considerata più per lo stile che per il contenuto. Perché il contenuto oggidì è cambiato e tanto. Sono cambiati anche i lettori interessati, per fortuna.

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Antonio

circa 11 mesi fa - Link

Sicuramente é la bibbia del vino, pubblicata grazie alla fondazione Banfi, cosa spesso non sottolineata a dovere. Adoro il libro nonostante hugh nel libro dimostri la sua inglesità(storicmente l’inghilterra ha importato vini da bordeaux e dal portogallo) relegando l’italia a comparsa. Il libro é sempre un piacere, anche se sente il peso degli anni e non essendo lui un vero storico risente anche di molti errori. Ma sicuramente ad oggi si sente la mancanza di un libro scritto per essere comprensibile a chiunque. Troppo spesso chi scrive di vino, parla solo con un linguaggio ristretto a una piccola cerchia.

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Giuseppe

circa 11 mesi fa - Link

Bravo il Jacopo Manni che parla di quest’opera. Da sempre il libro di Hugh Johnson è la mia stella polare. Condivido 3 considerazioni da tenere in mente: 1.I capitoli sono autonomi e non è necessario leggere le 700 pagine in modo consecutivo. Questo consente ai lettori di affrontare il libro con leggerezza d'animo, senza sentirsi obbligati a una lettura ininterrotta. Il libro offre una chiara comprensione del motivo per cui, in certi periodi storici, alcuni vini hanno raggiunto una maggiore notorietà rispetto ad altri. Inoltre, mette in evidenza come aspetti industriali e consumistici, come la qualità e la bontà, spesso siano di scarsa importanza nel determinare il successo di un particolare vino. In molte circostanze, il successo di un vino è influenzato dalla posizione politica di una nazione, dalla potenza economica di una regione o semplicemente da eventi storici incontrollabili. In particolare, consiglio i seguenti capitoli: CAPITOLO 8 Un paese più verde Roma si espande, e nascono i vigneti europei CAPITOLO 14 I mercanti di Venezia Il commercio dei ricchi vini nel Mediterraneo CAPITOLO 15 La conquista castigliana Nuoveve frontiere in Spagna e nel nuovo mondo CAPITOLO 18 I carrertieri del mare Gli Olandesi e L'espansione del commercio dei vino 3.Il libro fornisce ragionevoli tesi storiche e sociologiche sul motivo per cui in alcune regioni si producono specifici stili di vino, riflettendo la visione del vino prima dell'omogeneizzazione globale dei gusti. Tutti questi concetti, sebbene affrontati dal punto di vista storico, possono essere applicati anche ai giorni nostri con un minimo sforzo mentale. Così, giusto per dire, tecniche di marketing rimaste invariate per secoli: “Per quasi venticinque anni i Veneziani chiesero cinquanta scellini per un barile da 600 litri, e accettavano di farsi pagare in stoffe fino ai due quinti del valore complessivo. Quando ebbero creato una forte domanda, cominciarono a ridurre la fornitura, mandando sempre meno barili e sempre più piccoli, di meno di 500 litri, facendoseli pagare più del triplo, per giunta rifiutandosi di accettare stoffe come parte del pagamento”

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 mesi fa - Link

Il libro di Hugh Johnson è una interessante reliquia, ma da considerare solo tale. Per un motivo evidente, che è lo stesso per cui nessuno legge più i libri di storia degli anni '80; la ricerca storica ha fatto progressi incredibili negli ultimi trent'anni, periodi (o zone, nel caso del vino) totalmente trascurate si stanno dimostrando vitali per capire il passato, una massa incredibile di documenti in più è stata letta, studiata e valutata e nuovi approcci di metodo sono emersi. Per esempio, il settore dei traffici economici (tra cui il vino) nel 1989 era quasi totalmente non studiato e oggi ricerche approfondite hanno portato a risultati sconcertanti, masse di documenti che ribaltano molte credenze consolidate. Quanto poi al mondo del vino, è totalmente cambiato. Conservo in casa libri di vino dal '500 ad oggi, sono tutti interessanti ma.... Chi oggi considera un libro del 1989 la sua Bibbia, beh, insomma, rischia di avere una chiave bizzarra per valutare la realtà.

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Jacopo Manni

circa 11 mesi fa - Link

"Chi oggi considera un libro del 1989 la sua Bibbia, beh, insomma, rischia di avere una chiave bizzarra per valutare la realtà"...c'è qualcosa che non mi torna in questa frase. Direi che ci penso un paio di mila anni e poi ti rispondo.

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