Espianti

Espianti

di Stefano Senini

Si dibatte da mesi sulla crisi del vino, in Italia e in Europa, tra sovraproduzione, cambiamenti climatici, diminuzione dei consumi. Ora al centro dell’attenzione è salito il tema degli espianti, che tecnicamente mi sembra molto complesso. Mi permetto quindi di introdurre solo un piccolo sottoproblema alla grande discussione in corso.

Scena, esterno giorno: bella grigliata conviviale in una malga ai piedi di un ghiacciaio austriaco; la birra scorre a fiumi e mi adeguo volentieri. Non conoscendo il tedesco, mi aggrappo ad una famigliola francese con cui fare due chiacchiere; sorpresa graditissima per me, il padre è un piccolo vigneron della Champagne, ha circa un ettaro vicino ad Épernay e vende le classiche tre varietà alle grandi case. Parliamo di moltissimi argomenti legati al suo lavoro e tra questi sottolinea che sarà una cattiva annata, prendendo spunto dai 37 trattamenti svolti in vigna, in luogo dei soliti 20.

Non è questo che mi sorprende, bensì l’apprendere che qualche anno fa ha estirpato volontariamente una buona porzione di vigne, per installare un campo di pannelli fotovoltaici. Si dichiara contentissimo della scelta, il lavoro è infinitamente più facile e vendere energia elettrica anziché uva est beaucoup plus rentable, cioè “è molto più redditizio”.

Sono rimasto a bocca aperta e non ho esternato a lui la mia riflessione, che provo a stendere qui.
Ho cominciato a vedere distese di pannelli solari una ventina di anni fa, con esempi eclatanti in Puglia e poi nel viterbese. Il paesaggio risulta devastato, certo più che dalle torri eoliche, ma forse è solo questione di abitudine. Mai avrei comunque pensato che anche le uve più pagate al mondo potessero venire sacrificate in questo modo.

Certo, così il vigneron – meglio: l’ex vigneron – può permettersi per tempo e costi delle belle vacanze a metà agosto, ed è senz’altro vero che non possiamo fare a meno delle energie rinnovabili; ma possiamo fare a meno dello Champagne? (Potrei pure scrivere Primitivo di Manduria, Lambrusco, Tintilia ecc). Non è solo un fatto edonistico ma di cultura, storia, anche etica in fondo; e mi chiedo cosa succederà quando qualsiasi coltivatore si renderà conto che vendere energia rispetto a grano, orzo, mele, pesche o uva est beaucoup plus rentable.

[Foto: Wired]

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Stefano Senini

Laureato in lettere classiche, diplomato sommelier da ormai trent’anni, è stato un critico gastronomico professionista (sì, di quelli seri che girano in incognito), responsabile del Liceo all’interno del carcere di Porto Azzurro sull’Elba e oggi felicemente insegnante in un Liceo nella provincia di Brescia. Non ha uno smartphone né peli sulla lingua ma tanta esperienza.

3 Commenti

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Fuliggians

circa 3 giorni fa - Link

Succederà quello che è capitato e capita ancora, in val di non in Trentino, donne Melinda fa da padrona. Hanno espiantato qualunque cosa per le mele. E nonostante tutto capiscano concetti come biodiversità, la redditività è tale da non riuscire a scardinare il meccanismo. Finché non arriverà l'insetto del caso a devastate l'intera economia

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Stefanogarry

circa 2 giorni fa - Link

Volendo guardare il tutto da un punto di vista più lontano anche l'estesa coltivazione delle vigne ha prevaricato sulla biodiversità qualche anno addietro in tante regioni che sia la Toscana la Puglia, la champagne.... La verità è che il solo re che comanda su questa terra è il denaro, ed in pochi sfuggono alle sue regole.

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littlewood

circa 18 ore fa - Link

Non capisco...intanto era un mezzo vigneron perche' vendeva e non vinificava le proprie uve e in zone come lo champagne si vive bene anche con un ha...poi non e' detto che se hai na' vigna magari ereditata quello sia il ruo lavoro...magari meglio cosi'..poi i pannelli no che son brutti le pale no che sin brutte il nucleare no che e' na' bomba il petrolio e il gas no perche' sporca...cosa allora...? Todde dicet....

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