Sulla strada che porta a Nebbiolo Prima 2016 fra tanti assaggi, numeri ufficiali e soprattutto visioni

Sulla strada che porta a Nebbiolo Prima 2016 fra tanti assaggi, numeri ufficiali e soprattutto visioni

di Pietro Stara

La prendo con calma e faccio Asti – Alba seguendo la statale. Se avete fretta sarebbe meglio di no, ma io non ne ho. E poi le statali riservano, oltre ad autovelox piazzati ogni sei centimetri, un terroir a sorpresa che le anonime autostrade non possono dispensare. Al fondo di Isola d’Asti campeggiano due cartelloni pubblicitari di una certa qual grandezza uno a fianco dell’altro. Il primo dice: “W gli alpini” (ritrovo nazionale ad Asti a fine settimana). Il secondo: “Isola d’Asti dice stop alla prostituzione”. Qualche metro più avanti  un bel gruppo di prostitute attende l’abituale clientela domenicale. Credo anche gli alpini della domenica successiva. Se vogliamo trarne un monito economico-finanziario potremmo dire che “domanda e offerta” superano ampiamente ogni forma di dissuasione persuasiva di tipo comunicativa/visiva. Spesso, anzi, funziona al contrario. Se volessimo poi estenderlo ad altro mi sentirei di affermare che le diverse forme di proibizionismo, che fruttano molto denaro nel sistema capitalistico, generano mercati proficui e appena tangenziali, ma collimanti ed interscambiabili, a quelli ufficiali: me lo conferma la presenza di alcuni sexy-shop nell’allungo finale del paese, che completano la gamma dell’offerta a disposizione di una clientela sempre più esigente. Lasciandomi alle spalle cartelloni, prostitute e ed elucubrazioni tardo pomeridiane e domenicali, mi avvicino a passo di lumaca all’hotel Calissano di Alba dove trovo ospitalità. Tutto il meglio: accoglienza, gentilezza, pulizia, una camera che vorrei avere a casa mia e il bagno pure, silenzio, ascensori veloci e spaziosi, colazione abbondante. Che dire? Poi apro il cassetto a fianco del letto: c’è la Bibbia. Il solito consiglio di lettura turistico-alberghiero induce in me alcune contrarietà teorico-filosofiche di rilievo.

In serata saliamo al Castello di Guarene dove in un sontuoso salone al piano nobile il presidente di Albeisa, Alberto Cordero di Montezemolo,  il vice-presidente del consorzio del Roero, e il neo presidente del Consorzio Barolo-Barbaresco, il conosciuto più come dolcettista Orlando Pecchenino, ci presentano in Italiano/Inglese, testo a fronte, le giornate, lo spirito dell’iniziativa e qualche numero della zona. Numeri che ci verranno rinforzati il giorno successivo, appena prima dei primi assaggi del Barolo 2012. Stiamo parlando di una superficie vitata di 2.046 ettari per il nebbiolo da Barolo, una produzione di 99.268 hl di vino per un totale di 13.235.971 bottiglie. Al 2012. Per il Barbaresco (2013) sono 729 ettari che in ettolitri ne fanno 35.113 e in bottiglie 4.681.737. Se si aggiungono i numeri del Nebbiolo Langhe, in crescita continua ed esponenziale, sta avvenendo quello che alcuni chiamano “la nebbiolizzazione” della Langa. Facendo un raffronto con i dati del 2010 al 2015 il Barolo produce, circa, due milione di bottiglie in più, il Barbaresco 300.000, mentre, per contro, il Dogliani si è quasi dimezzato (da 5.617.333 a 3.016.800 bottiglie); il Barbera d’Alba è passato da 12.167.600 a 11.774.933; il Dolcetto d’Alba da 8.974.267 a 7.190.933. Infine, il Dolcetto di Diano d’Alba da 1.202.133 a 955.200 bottiglie in totale. Barolo e Barbaresco hanno avuto, assieme al Nebbiolo d’Alba e al Langhe Nebbiolo, che sta assorbendo sotto la sua dicitura l’intera produzione del Nebbiolo d’Alba, un aumento costante e significativo di estensione di ettari vitati, assieme alla piccolissima denominazione del Verduno Pelaverga. Il nebbiolo copre, allo stato attuale, il 37% della produzione complessiva. Come si può ben immaginare a questo corrisponde una parziale, ma significativa, contrazione degli ettari vitati per le tre denominazioni dei Dolcetto e in parte del Barbera. In un quadro in cui la gran parte dei produttori si sta velocemente dirigendo verso le nuove classificazioni determinate dalle Menzioni Geografiche Aggiuntive: 56% per il Barolo e 46% per il Barbaresco (dati al 2015). Infine, per dovere di cronaca e di memoria, il Consorzio dei produttori sia del Barbaresco che del Barolo, ha deciso di difendere i propri nomi, la propria storia e le proprie peculiarità, a partire dal 2010, utilizzandoli come marchi registrati. Ma questo è già futuro anteriore.

La serata prosegue con un buffet di alto livello, qualche bicchierata, due parole qua e là e soprattutto là. E a nanna. Pimpante come uno stoccafisso accomodato mi alzo alle sette, mi preparo, faccio colazione e salgo su un pulmino che ci accompagna al centro congressi per la prima tornata di assaggi. Solo 99. Sono le otto e trenta circa quando inizio e faccio alcuni gargarismi preparatori accompagnati da preghiere solenni volte alle divinità della resistenza fisica e morale. Ne abbiamo anche discusso a cena, con dei valenti e giovani produttori, di questa metodologia fordista-taylorista applicata all’assaggio dei vini. Sicuramente non ne scappa uno, ma la questione rimane spalancata: che tipo di valutazione si sta cercando? Per comunicare che cosa? E poi siamo così certi che al 73esimo assaggio non scappi comunque qualcos’altro? E poi perché non farselo sfuggire? Ritornare magari. Sembra quasi che o qui o mai più. Come se non potesse più capitare, un giorno, un Guido Alciati qualsiasi che compri l’intera produzione. Insomma, ci vuole qualcosa di più seriamente freestyle. Davanti a me, un po’ spostato sulla destra, c’è Alessandro Masnaghetti che, a sua insaputa, influenzerà i miei criteri di giudizio attraverso la pura e semplice trasmissione telepatica. È la prima volta, infatti, che utilizzo il segno + dopo i numeri di valutazione sintetica e plastica: 88 +: 86+; 92+ ecc. Non su tutti i vini naturalmente, ma solo su quelli che possono prevedere un’evoluzione di qualche tipo, cioè il 90% del totale. I sommelier di servizio non sono bravi: di più. I loro polpastrelli assomigliano ai bicipiti di Tyson.

Annata che vai vino che trovi. Non sono mai stato un fan sfegatato delle degustazioni seriali alla cieca per motivi che ho ricordato anche in altre occasioni. Altri, poi, hanno detto cose mirabili e giuste sulle mutazioni del vino, sulle disuguaglianze del vino, sulle solitudini del vino. E il tempo che scorre, la mattinata che passa, io che sono diverso da un’ora all’altra: un po’ di disattenzione, o un’attenzione eccessiva, stanchezza, distrazione momentanea, vicini che parlucchiano, vicini che tacciono, vicini che scribacchiano, io che cerco con gli occhi una finestra come quando ero a scuola. Me ne rendo conto: sono assolutamente in difensiva. Dovessi dirlo in generale, appunto, con tutti i riguardi del caso, i Barolo 2012 che ho assaggiato, in prevalenza di Serralunga, o di più comuni, fanno fatica ad uscire. Se ne stanno lì belli rintanati, accoccolati alle loro botti, legati da un tannino ombelicale ancora difficile da recidere pienamente. Ho sentito all’uscita alcuni commentatori extra europei, prevalentemente asiatici, gongolarsi di tutto questo bendilegno. Paese che vai, tannino che ami. Vi segnalo qui alcuni vini, che mi son parsi in fase maggiormente espansiva, piena, di buona armonia, di frutto e di spezie conditi.

Reva s.agr.s Barolo Ravera – Novello: parte sornione, timido, un po’ schivo, poi si allunga piacevolmente e quasi inaspettatamente.
Elvio Cogno Barolo Ravera – Novello: bello tenebroso, compatto, un po’ vegetale. Promette.
Cantina Bartolo Mascarello, Barolo – più comuni: elegante, fine, in composizione armonica.
Parusso Armando Barolo più comuni. Godibilità già dal principio: si allarga pieno sgomitando tra tannini che tentano ancora di trattenerlo.
Grimaldi Bruna Barolo Camilla – Serralunga d’Alba, menzione Badarina: buona persistenza, sobrio, fresco, con liquirizia in bella evidenza.
Vajra G.D Vajra Barolo Baudana – Luigi Baudana – Serralunga d’Alba: tannini ben levigati accompagnano un buon slancio in avanti. Balsamico corredato da sfumature floreali.
Batasiolo Barolo Boscareto: bella polpa e frutto in evidenza. Cioccolato e spezie.
Palladino Barolo del comune di Serralunga d’Alba: ampio, tannino importante ma non sovrastante, frutta e succo in evidenza.
Casa E. di Mirafiore Barolo – Serralunga d’Alba: un vino che si è portato in avanti con tannini sottili e composti, confetture già evidenti, buona persistenza.
Guido Porro Barolo V. Lazzairasco Barolo – Serralunga d’Alba: già evidenti e ben amalgamati i sentori di liquirizia, vaniglia, viola e rosa appassita. Austerità che scivola via calda e appagante.
Palladino Barolo Parafada – Serralunga d’Alba. Ne ho messi due di Palladino. Appunto.
Giovanni Rosso Barolo Serra – Serralunga d’Alba: frutta succosa, vibrante di buona sapidità.

Dopo aver triangolato, nell’ottimo buffet post-degustazione mi reco in albergo giusto per collassare un attimo prima che si palesi il nuovo evento sul Barolo, Barbaresco e Roero retrospettiva 2006 che, per grazia ricevuta, si tiene proprio lì.

Vedere tanta possanza riunita in alcune sale è tanto entusiasmante quanto disarmante. Sull’entusiasmo non vi devo spiegare molto, quanto al disarmo, dopo tale mattinata, equivarrebbe alla medesima sensazione che si prova quando si entra in una sala cinematografica vuota, apparentemente tutta per sé, e non si sa bene dove sedersi, o, meglio, ci si vorrebbe sedere in tantissimi posti diversi. Se il 2012 è un bambinello bello tannico e un po’ capricciosetto, il 2006 è un pre-adolescente ancora molto trattenuto. Non più attaccato al grembo materno, ma ancora incapace di alcune prodezze che solo un adolescente ben temperato può esibire. Stiamo comunque parlando di eccellenze eccellentissime anche se tal fatto mi ha impressionato. Tenuto conto, poi, che alcune riserve si spingono oltre ai sei anni di legno, forse questo può renderci parte del fattore ‘contrazione’. Ma non spiegarla. Soprattutto dopo aver assaggiato, dalle stesse case, brillanti 2007, goduriosi 2008 o  rifulgenti 2009. Nel butto lì alcuni.

Fratelli Alessandria Barolo San Lorenzo 2008 – Verduno: ho modo di assaporare il magnifico e sapido Verduno Pelaverga la sera innanzi e non ho alcun timore ad avvicinarmi ai Barolo Alessandria. Una eccellente evoluzione floreale, piena, succosa, balsamica e rinfrescante.
Orlando Abrigo Barbaresco Riserva 2006 Rongalio Tempo – Treiso: tannini delicati, un mare di frutti rossi maturi, vaniglia, cannella, terra e pepe.
Orlando Abrigo Barbaresco Riserva 2006 Montersino Tempo – Treiso: una meravigliosa prugna e spezie si distendono su note di caffè tostato. Sviluppo lungo, impetuoso, di grande ampiezza, lunghezza e carattere.
Giacomo Borgogno e Figli Barolo Riserva 2006 – Barolo (Cannubi, Liste, Fossati): questo è un sei di botte più uno di bottiglia. Un grande vino. In tutti i sensi ma, e soprattutto, su tutti i sensi.

Posso continuare dicendo che ho gioito pienamente e compiutamente con il Barolo Riserva Sette anni Bussia di Franco Conterno, che ho fatto un giro di valzer con il Barbaresco Rabajà 2006 del Castello di Verduno. Poi, mi sono fermato, quasi in contemplazione, di fronte ad una versione una e trina dello stesso vino, dello stesso anno, ma di tre bottiglie differenti: il Barolo 2006 della Cantina di Bartolo Mascarello. Il primo quasi da dimenticare. Il secondo da ricordare appena. Il terzo da abbracciare. Poco tempo oltre, allo stesso banchetto, il Barolo della Cantina di Bartolo Mascarello, quello firmato nel 2011, mi ha fa quasi collassare tanto è buono. Con i Barolo Brunate Le Coste 2006 e il Cannubi San Lorenzo Ravera 2006 di Giuseppe Rinaldi rimango con uno sguardo da ebete sorridente per svariati minuti. Mi fermo qua ché mi sto quasi invidiando da solo.

Doccia, barba e capelli (sarebbe bello) e son pronto per la serata conviviale con i produttori a Villa D’Amelia. “Una nebbia che sembra di essere dentro/A un bicchiere di acqua e anice, eh già…” (Paolo Conte). Mi mettono in un tavolo circolare. Al mio fianco destro un giornalista giapponese, di Osaka, che indossa una giacca rosa su cui risalta una spilla di Mao Tse-Tung: appena la vedo mi fa venire in mente il passato gruppuscolare, crepuscolare e maoista di Bruno Boveri. Si sarebbero abbracciati, penso io. So che Terashita Mitsuhiko scrive per, ma non solo, Vinotheque Wine Magazine e attacca con me come un vero ninja sa fare: “Dove scrivi? Per il Gambero Rosso? Slow Food?…” “No” – gli faccio “per il peggior blog di Caracas: Intravino”. Lui se la ride, ma credo che non abbia capito il nome. Tutto in torno a noi un pezzo della  gioventù produttrice di Langa: Gian Luca Colombo e Daniele Scaglia di Réva, Chiara Abbona della cantina Marziano Abbona, Giuliano Revello della cantina Mustela, Oscar Bosio della cantina La Bruciata. Ogni tanto fa le sue puntate al nostro tavolo anche Alessandro Rivetto. La serata è ottima e prosegue tra frizzi e lazzi: si passa agevolmente dalla critica soggettiva del vino, di matrice hegeliana, all’organizzazione delle giornate di nebbiolo prima e si finisce spensierati a parlare dell’idrocolonterapia. Non ho più memoria dei passaggi tra un argomento e l’altro. Ricordo che, a un certo punto, Terashita afferma, in maniera perentoria, che a Londra, mica a Genova Voltri, il top dei Barolo è quello di Anselma. Gian Luca e Daniele chiedono di ripeterglielo di fronte ad una videocamera dello smartphone. E lui acconsente. I vini che girano a tavolo sono perlopiù quelli dei convitati. E ciò è un bene. Si attacca con il moscato secco, fresco e fragrante di Oscar Bosio, che porterà, per accompagnare il dolce, il suo esoticissimo Moscato la Bruciata in competizione con il consecutivo Moscato d’Asti Mustela; dall’aromatico al semi-aromatico con la Nascetta di Rivetto, sostenuta da una buona sapidità e da un’ottima freschezza. I Barolo dunque: il caldo e fruttato Pressenda di Marziano Abbona; il ciliegioso e tabaccoso Lazzarito di Rivetto. Quindi il Barolo Réva 2010: “Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino” (Edoardo Bennato). La strada è tracciata. La pioggia ci accoglie anche al ritorno.

Il mattino seguente tocca ad un centinaio di Barbaresco 2013. Qui si parte gagliardi: i vini. Io un po’ meno. I voti si alzano e l’annata pure.

Prunotto Barbaresco Bric Turot – Barbaresco: in evoluzione armoniosa con rosa e ribes che la fanno da padrone.
La Biòca Barbaresco – Barbaresco: stoffa, eleganza e cacao sullo sfondo.
Cascina Luisin Barbaresco Rabajà – Barbaresco: una bella polpa pepata si tonifica con mandorle.
Castello di Verduno Barbaresco Rabajà – Barbaresco: i tannini in via di definizione avvolgono, senza scomporli, pregevoli sentori terziari in una prospettiva a dir poco lunga.
Cortese Giuseppe Barbaresco Rabajà – Barbaresco: mirtilli, more, ribes sbucano qua e là dopo aver lasciato il passo a noce moscata e tabacco. Quindi una bellissima liquirizia in sontuosa evidenza. Tannini ben legati e ottimamente avvolgenti.
Cascina della Rose Barbaresco Rio Sordo – Barbaresco: netto, un buon ritmo, frutto tenero e caldo.
Fontanabianca Barbaresco Bordini – Neive: di gelso e di mora, ampio, succoso e scintillante.
Sarotto Roberto Barbaresco Gaia Principe – Neive: incontra i favori di una bella speziatura che si apre larga e pienamente soddisfacente. Trovano posto confetture di prugne, ciliegie e una liquirizia di tutto rispetto. Distintamente elegante.
Prinsi Barbaresco Gallina – Neive: sensazione antica. Un pezzetto di storia e di campagna che si fanno vino.
Cascina Alberta Barbaresco Giacone – Treiso «Daniel guardò il bicchiere: altro vino importante. Al colore, Daniel pensò che doveva venire anche quello dal Nebbiolo, era ancora granato con brillantezze di tramonto, quando il sole color di un’arancia da spremere se ne va a morire tra una collina e l’altra, come se stesse ballando il tango con un’allegria melanconica» (Nico Orengo, Di viole e di liquirizia).
Rizzi Barbaresco Nervo – Treiso: contrappunto di dolcezza e morbidezza. Profondo, essenziale, levigato, archetipico.

Una breve pausa prima di raccattare la valigia in hotel e dirigermi su in collina, a Barbaresco, dai Produttori: ultimo passaggio di due intense giornate. Tutti i cru: anno 2011. Con due incursioni di Montefico 2007 e 2005. Non so più che dirvi. Ho come la sensazione di aver esaurito i descrittori disponibili. Forse sono anche un po’ stanco di sentirmi scrivere. Ho una grande ammirazione per i loro vini e per alcuni di più. Poi, come spesso succede, scegliamo delle cose non per criteri di valore assoluto, ma, molto più banalmente, perché le indossiamo con maggiore agevolezza. E, in questo momento, carico di poggia e di nuvole, ho bisogno che la primavera si affacci piena. Per questo il Barbaresco Rio Sordo, con i suoi tannini dolci, le ciliegie e le fragole mi sta proprio bene.

Riprendo la strada con calma, vado per langa e torno dalle mie parti. Saluto il portone di casa, a Farigliano, e faccio una piccola sosta da quelli di Clavesana. Gli compro qualche bottiglia di dolcetto e punto verso il mare.

[Crediti immagine principale: La Stampa]

 

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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