I miti e le leggende dietro una bottiglia di vino da tremila euro
di Stefano Cinelli ColombiniPer parlare del mito nel vino vorrei partire da un dato oggettivo. Un Romanée Conti costa quattrocento volte di più di molti ottimi rossi toscani di basso prezzo, esattamente come la Lamborghini Veneno Roadster costa quattrocento volte di più di una Fiat Panda o un quadro di Leonardo costa quattrocento volte (o più) di un suo contemporaneo poco noto ma di ottima fattura. Però c’è un’enorme differenza. La Lamborghini può fare cose che per la Pandina sono impossibili, è proprio un’altra cosa e lo è in quasi ogni situazione. È fatta di materiali diversi, con costi di materie prime e di tecnologia non comparabili.
Quanto al genio trasmesso visibilmente sulla tela da Leonardo confrontato col bravo manierista suo contemporaneo, occorre dirlo? Mentre se beviamo un Romanée Conti in un bicchiere di plastica d’estate al mare, ovvero in una situazione del tutto normale, più di un esperto potrebbe pensare che sta sorseggiando un ottimo rosso Toscano comprato alla COOP. Ovviamente esagero, ma non poi tanto. Eppure le migliaia di clienti che scelgono Romanée Conti sono felici del loro acquisto. Perché? L’etichetta è molto brutta, bottiglia, tappo e capsula sono ordinari e la materia prima è uva Pinot nero, degli stessi cloni coltivati in qualunque parte del mondo. Non è l’unico Pinot nero sul mercato, molto probabilmente non è il migliore e non ha particolari tipicità che lo differenzino dai suoi vicini.
La tecnologia usata per produrlo non è nulla di straordinario, e la “mano” che l’ha fatto non è tale da imprimere una differenza avvertibile al vino; tanto per capirci, non è come se un quadro l’avessi dipinto io o Giotto. E allora perché il cliente è felice di spendere due o tremila euro? Non essendoci una spiegazione materiale, cadiamo necessariamente sull’intangibile.
E qui ci sono tante cose.
C’è il marketing, ma anche il marketing ha dei limiti; se il prodotto non giustifica almeno un po’ il prezzo, alla fine trovi sempre chi ti dice che il re è nudo. E non c’è vino che giustifichi una differenza di valore di 400 a 1.
C’è il numero ridotto. Ma qui in Toscana ci sono tante aziende che fanno minuscole selezioni assolutamente straordinarie, e poi sono costrette a svenderle perché nessuno le vuole; il numero ridotto di per sé non spiega un prezzo così alto. Potrei continuare, ma c’è poco da dire; un differenziale di prezzo simile è disgiunto da ogni spiegazione razionale. Eccetto il mito. E qui occorre entrare in campi un po’ più elevati.
Il vino è un cibo, ma non è mai stato solo un cibo. Ogni cultura attribuisce significati particolari a qualche alimento, ma si tratta sempre di sostanza diverse. Il vino è trasversale, è l’unico che ha significati immateriali in ogni cultura del mondo. Ispira il sacro e i poeti, è proibito, è benedetto, è sangue di divinità. Ha una bibliografia infinita, probabilmente superiore a qualunque altra cosa connessa all’uomo salvo Dio e amore. È unico, e lo dimostra il fatto che ben poco delle regole che si applicano agli altri cibi funzionano con il vino; non per caso, ma perché nel vino (e solo nel vino) la componente culturale pesa enormemente di più di qualunque qualità mercantile. Ergo, nel vino il mito pesa al di là di ogni logica. Per cui nel vino (e solo nel vino) può capitare un fenomeno come Romanée Conti. O come Petrus. O come Vega Sicilia. O, molto più in piccolo ma sempre di quello si tratta, come il Brunello.
Ma cos’è il mito nel vino? Per definizione, è irrazionale. Non so dire come nasce o come cresce, ogni caso fa storia a se. Ma esiste, ed è un fattore potente. È molto diverso dalla moda, tende ad essere enormemente più duraturo nel tempo ed è poco, o per nulla, sensibile alle campagne promozionali; non ho mai visto un mito vinicolo creato a tavolino, mentre nella moda è normale. Un mito non si insegna a scuola e non si propaga con la docenza, con buona pace di chi vorrebbe provare a farlo; o è o non è, e se è cresce. Il mito nel vino è spesso legato alle persone, ma tende a vivere anche dopo di loro. È un fenomeno che si adatta male ad una cultura che, almeno nelle sue componenti imprenditoriali, vorrebbe essere assolutamente razionale e basare tutto sul rapporto prezzo/qualità, sul marketing o sulla dimensione degli investimenti in promozione. Ma tant’è, esiste. In chiusura, permettetemi un gioco; per i nostri avi il mito stava ai bordi del mondo del sacro, e per noi?
Stefano Cinelli Colombini, viticoltore del (mito) Brunello
157 Commenti
Gigi
circa 6 anni fa - LinkPost intrigante e ispirante. La mitizzazione è stata spesso studiata e cercata dal marketing come elemento di traslazione del bene dal mondo della razionalità (logos), in cui valgono gli utilizzi, i prezzi e i benchmark, al mondo dell'immaginario (mythos), dove valgono le suggestioni, i desideri reconditi, le ritualizzazioni. Frequentemente, come dice Cinelli Colombini, l'operazione a tavolino non funziona, proprio in quanto la mitizzazione risale da simboli ancestrali e significati profondi che non emergono in modo prevedibile, per cui il mito associato ai beni di consumo diventa strumento di spiegazione del modello di successo piuttosto che possibilità di replicarlo. Personalmente non vedo nel vino un'esclusività relativa all'accesso al mythos, quanto una facilitazione di connessione rispetto ad altre categorie merceologiche, trattandosi di un prodotto che genera più facilmente di altri passione, curiosità, interesse esplorativo e un pizzico di senso del mistero. Il mito non è assoluto, ma relativo alle sensibilità individuali e culturali rispetto al potere evocativo dell'oggetto/soggetto in questione. In questo senso il mito è multiforme e polidimensionale, rendendosi difficile da definire, contestualizzare e collocare nella dimensione spazio-temporale.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - Linkmmmm, non saprei. Ci sono tanti prodotti che offrono passione, curiosità et similia. Cosa si può costruire di intrigante intorno ad una trota, con la bellezza del pesce, la rarità, i ruscelli incantati e via poetando? C’è anche die forelle di Shubert, che è pure bella. Eppure nessuno se la fila. Il vino è nel mito da che esiste l’uomo, è cacciato profondamente nel nostro inconscio.
Rispondiandreuccio
circa 6 anni fa - LinkBeh però ipotizzando che la adoperi, la trota cucinata da uno chef illuminato e blasonato sarà sicuramente più buona e cara di quella fatta da uno chef dalle basse pretese e ambizioni. E magari il posto al tavolo al ristorante del super chef per gustare la trota sarà difficile averlo sempre. Die Forelle di Schubert la possono ascoltare tutti ormai quindi mancano i presupposti quali la rarità e inaccessibilità dell'opera. Il vino esiste da quando l'uomo lo ha creato, sicuramente è un bene che è rimasto tale e quale trasversalmente negli 8000 anni di storia, ma la mitizzazione degli oggetti di consumo, come il vino, è secondo me storia recentissima. Bell articolo offre uno spunto interessante, ma io rimango dell'idea che i prodotti di DRC siano rispetto agli altri ma il prezzo lo ha sempre deciso la domanda e l'offerta. Non trovi?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCerto che il prezzo lo decidono la domanda e l’offerta, ma la domanda è condizionata dal mito. Dunque il mito decide il prezzo. In altre parole, è nato prima l’uovo o la gallina?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkScusa Andreuccio, dimenticavo. La mitizzazione del vino è storia recente? Ma hai mai visto una Messa? Sai, il sangue di Cristo....... E hai presente il vino offerto in sacrificio agli Dei in quasi tutte le religioni antiche? Le libagioni delle baccanti? Esiste un Dioniso del sidro? No. Oppure vogliamo parlare delle tantissime poesie greche , romane, persiane o egizie sul vino, della cura maniacale nella scelta dei nettari fatta dai patrizi romani o dell’amore dei barbari, ma proprio di tutti i barbari, per la nostra bevanda? Non mi risulta avessero un simile trasporto per la birra. No, il vino non è l’alimento più mitico da poco tempo, lo è da millenni.
Rispondiandreuccio
circa 6 anni fa - LinkEhehe. Mi fa ridere che rispondi così ad un commento ad un tuo articolo aperto a commenti. Nella messa cristiana, con la transustanziazione il vino è un tramite per avvicinare il mito di Cristo alla gente. Il vino offerto in sacrificio è ancora un tramite (o mezzo) per alimentare la credenza nel mito, non è il vino il mito stesso. Dionisio non è il dio del vino, bensì è il dio dell'estasi e/o del vivere senza freni, condizione mitica raggiunta tramite il vino. I romani volevano il meglio, come oggi noi: le migliori uve, le migliori parcelle, le migliori anfore. Cosa c'è di mitico nel mercato del vino? I barbari? ma perché vennero solo per il vino? Oppure perchè l'italia è sempre stato un posto di ricchezza e floridità? Le tantissime poesie greche e romane cantavano sì del vino. Certamente, come si scriveva di giardini, persone, cose. Molti scrivevano anche per vendere, come il vino di Samos, o il Falerno o il vino di Pompei, quasi come oggi scrivono la pubblicità. e che fosse una bevanda richiesta è sempre stato così. Sai cosa vuol dire la parola Mito e a cosa si riferisce vero? Il significato della parola?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkLieto di farti ridere, almeno il mio articolo ha dato gioia. Mica è poco. È probabile che non conosca il significato del termine mito, sai, sono un analfabeta di ritorno. Però forse potresti leggere quelli che ho scritto. Non ho mai affermato che Dioniso è il Dio del vino, né ho attribuito le funzioni che dici al vino nella messa. Ho solo affermato che il vino vi è connesso, e non i cavoli, il sidro o le patate. In questi, come in molti altri miti. Perché? Da quell’ignorante che sono ho avanzato una spiegazione, che non era una prolusione accademica. Se ti diverte, bene. Se non la credi, bene ancora. Se ne hai una migliore, fantastico. Però un consiglio: il vino è bello se è un gioco. Dare di ignorante a chi non conosci, non è più gioco.
RispondiDavide Bruni
circa 6 anni fa - LinkOttimo post 👍👍 Aldilà del mito Romane' comunque, ci sono centinaia di produttori 'furbetti' che approfittano dei capricci modaioli del mercato per appioppare prezzi assurdi al vino. Credo che una sana rappresaglia a questo tipo di degenerazioni sia evitare di comprare etichette sopra i 50 euro, e acquistare dai 'vigneron' che danno un valore onesto alle loro fatiche. Sempre in campana! Ciao a tutti 👋
RispondiGiuseppe Dominici
circa 6 anni fa - LinkPer la mia poca esperienza ogni volta che ho comprato vini direttamente nelle cantine i prezzi dei vini sono identici o leggermente più bassi rispetto ai negozi, allora mi domando perchè dovrei fare molti km in macchina quando posso acquistare i vini nell'enoteca sotto casa? E poi che significa evitare di acquistare bottiglie sopra i 50 euro? In alcuni casi il prezzo giustifica la bottiglia , non di certo i 3000-4000-5000 euro non esiste mito o Dio per queste cifre, a mio avviso sono prezzi che si possono permettere solamente i grandi ricconi, può essere magari giustificato il prezzo di vini fatti con viticoltura eroica (cinque terre, Etna, Trentino e cosi via) oppure ad esempio il Barbacarlo che cmq si trova a cifre umane. Diciamo che le lavorazioni e i modi di produrre vino possono incidere sul prezzo finale può incidere la bassa resa e deve a mio avviso incidere l'artigianalità del vino un vino fatto con il rispetto per l'ambiente può avere una maggiorazione sul prezzo.
RispondiFabio Pracchia
circa 6 anni fa - Link"Perché? L’etichetta è molto brutta, bottiglia, tappo e capsula sono ordinari e la materia prima è uva Pinot nero, degli stessi cloni coltivati in qualunque parte del mondo. Non è l’unico Pinot nero sul mercato, molto probabilmente non è il migliore e non ha particolari tipicità che lo differenzino dai suoi vicini" Ma lei è proprio sicuro di quello che afferma? O meglio è stato lì, ha appurato con competenza l'inesistenza di differenze nel suolo, nel vitigno, nel lavoro che viene svolto per ottenere quel vino? Ha assaggiato tutte le annate e le ha comparate con il resto della produzione regionale? Se sì, allora può confermare quanto ha scritto, altrimenti mi paiono premesse al suo successivo ragionamento campate in aria.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIncidentalmente ho adempiuto alle condizioni che chiede, proprio a tutte. E forse nel vino ho fatto qualcosina per una quarantina d’anni, magari chi ci lavora ne ha sentito parlare. Le basta? PS ops, non ho assaggiato proprio tutte le annate, solo una quarantina! Pochine in confronto al totale, lo ammetto. Posso essere scusato?
RispondiLorenzo Maini
circa 6 anni fa - LinkSe per il momento nessuno ha ancora detto che il Re è nudo viene da pensare che un motivo ci deve pur essere. Si tratta solo della paura di passare per fessi dopo aver speso un capitale per un vino buono certo, ma in niente speciale? Credo che la mano di chi produce questo vino sia tanto più importante quanto meno si percepisce nel vino. Senza arrivare alla triviale battuta del padre di B. Noblet sulla differenza tra le Richebourg e la Romanée Conti (per gli indigeni questa vigna e questo vino sono declinate al femminile) le posso assicurare per esperienza diretta che i suoli (plurale!) della Romanée Conti sono ben diversi da quelli dei vicini, che la cura in vigna è proporzionata al valore della terra inoltre sono pochi i vini chiusi da un tappo di tale qualità. Comparando inoltre il prezzo della Romanée Conti a quello dei suoi illustri vicini ci si accorge che il divario non è 400 a uno ma molto inferiore. Mi spiace ma sempra un post per acchiappare i grulli (come me) basato su poche informazioni reali e un poco di italico revanchismo che sembra essere di moda.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkSecondo me nessuno ha detto che il re Romanèe Conti è nudo perché non è nudo: il vino è inappuntabile e il mito vale il suo prezzo. In altri vini l’uno o l’altro non sono all’altezza, e la gente lo dice. Quanto allo sciovinismo italico, ha ragione lei: ne soffro. Mi accade ogni volta quando ricordo che nel 1983 ero alla prima New York Wine Experience di Wine Spectator e il mio Brunello stava tra i cento migliori vini del mondo insieme ai loro. I prezzi nostri non erano molto più bassi dei loro, poi sono passati quasi quarant’anni e i migliori Brunelli costano trenta o quaranta volte meno di loro. Bravi, bravissimi e glielo riconosco. Però mi girano.
RispondiLanegano
circa 6 anni fa - LinkBe', capisco che girino, però in linea di massima in tantissimi possiamo permetterci un Brunello e in pochissimi una Romanee Conti e di questo sono assai felice.... Per quanto riguarda il mito, sabato scorso un mio pusher di vino di fiducia per una serie di circostanze fortuite (tappo rotto durante l'apertura e seguente restituzione di una boccia da parte di un cliente idiota) mi ha fatto dono di un BIenvenues Batard Montrachet Domaine Leflaive 2006....Non lo avrei mai comprato dato che mediamente viaggia sui 5/600 euro a bottiglia. Però, al netto del mito che in parte influenza la bevuta, era di una bontà infinita...da lacrime agli occhi....si, lo so, ho avuto culo. Non so cosa ho fatto per meritarlo ma l'ho avuto....
RispondiNic Marsél
circa 6 anni fa - Link"Quanto al genio trasmesso visibilmente sulla tela da Leonardo confrontato col bravo manierista suo contemporaneo, occorre dirlo?" Sì, mai come oggi, occorre dirlo. E soprattutto occorre qualcuno in grado di spiegarlo da una parte e qualcun altro disposto a dedicare tempo e impegno a comprenderlo.
RispondiLuca
circa 6 anni fa - LinkDevo dire che mi sono sempre chiesto che differenza possa esserci tra un buon vino che costa 30 euro e il medesimo vino, prodotto dal proprietario della vigna vicino, o a fianco di quello che lo fa pagare 30 euro, ma che costa 100 o più euro. In sintesi, e per non dilungarmi, concordo essenzialmente sulla componente marketing, cui va aggiunta la moda e i portafogli capienti di chi può permettersi di spendere tremila euro per una bottiglia di vino. A questo punto, però, chiederei all'estensore dell'articolo di indicarci almeno un paio di quelle piccole cantine in Toscana <>, che così daremo un contributo di solidarietà, magari facendo una puntata in loco. Grazie.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIl vino non è mica un metallo, che esce già fatto dalla terra! Se divido una vigna in due e faccio gestire le parti da due viticoltori di pari capacità, avrò comunque uve diverse. A volte anche molto diverse, perché lo stile di potatura, la concimazione, il momento della sfogliattura, quello della raccolta e mille altri dettagli saranno diversi. Se la stessa uva la vinifico io o un mio collega avremo due vini diversi, perché variano le attrezzature, le temperature di fermentazione, il numero dei rimontaggi e tante altre cose. Poi c’è il fattore “C”, ci sono cose che provo e mi vanno bene e magari al mio collega no. Capita. Per cui che c’è di strano se un vino costa il doppio di quello del vicino? Magari è il doppio più buono. Magari è il doppio più noto, e chi lo riceve in regalo lo gradisce molto di più. Capita. due suggerimenti per piccoli produttori di alta qualità? Ce n’è davvero tanti a Montalcino, così a botta le direi di provare Baricci o Tiezzi. I prezzi sono molto buoni e i vini ottimi.
RispondiAlvaro pavan
circa 6 anni fa - LinkAnche la Panda fa cose impossibili ad una Lamborghini! Il problema dei vini toscani è che non sono nemmeno delle Panda ma pretendono di imitare la Lamborghini. Onore e gloria al Brunello, che considero un grande vino, ma purtroppo mi sembra ancora incompiuto nello sviluppo del suo potenziale. Ecco, probabilmente, la ragione del Mito e del Prezzo di quel vinello. Però, in capo a 3-400 anni, chissà...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkHa ragione, tra qualche secolo i miei bis-bis nipoti faranno un Brunello straordinario. Ne sono certo. Peccato che io non sarò qui a goderne, per cui mi confesso discretamente soddisfatto del work in progress che abbiamo.
Rispondiluis
circa 6 anni fa - LinkNon ha mai bevuto e probabilmente non berrò mai un Romanée Conti e quindi non posso giudicare nel merito. Ho comunque la certezza morale che se ne prendessimo una bottiglia, la scaraffassimo e la servissimo ad un gruppo di commensali, probabilmente tutti direbbero che il vino è buono, molto buono, buonissimo. Se però chiedessimo loro chi sarebbe disposto a spendere 3000 euro per quella caraffa, sicuramente tutti si metterebbero a ridere pensando ad uno scherzo. Una sola cosa giustifica un prezzo di 3000 euro, ma anche 1000 o 500 o 300, per una bottiglia di vino. E come dice S.C.C. quella cosa è il MITO. Che trascende dal razionale ed eleva l'uomo ad un livello di conoscenza che non necessita spiegazioni.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...solo una domanda che è anche una curiosità (un po' morbosetta) : salvo chi ha la fortuna di avere assegnazione diretta da parte della maison (l'ebbi per una ventina d'anni fino al 2002) ) , dove lo trovate Romanée Conti , sia giovanissimo che "maturo" a 3000 Euro?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkSu Amazon ne ho viste alcune bottiglie tra € 1.900 e € 3.000. Magari saranno falsi, però Amazon in genere controlla accuratamente i suoi fornitori.
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkHo l'impressione che si siano mischiati due piani diversi: la mitizzazione del DRC in termini di oggetto di consumo che, per rarità, status symbol e capacità evocative, si colloca su fasce di prezzo che si giustificano solo con l'ingresso nel mondo della fascinazione che trascende le normali logiche razionali. Questo avviene sì per il vino, ma anche per gli oggetti da collezione, siano francobolli, numismatica, addirittura fumetti, senza scomodare oggetti o manufatti artistici. Il concetto non è lontano di quello dei diamanti: rari, immaginifici, quasi inutili. Un discorso diverso si applica al vino in quanto tale come elemento simbolico-rituale che evoca fin dall'antichità miti, riferimenti sacrali ed emozioni profonde. In questo senso qualche correzione dobbiamo pur farla, perché la "volgare" birra è stata storicamente più adorata del vino, da Egizi, sumeri, vichinghi, celti, africani...e Dioniso a dirla tutta era il dio dell'ebrezza. Il vino nella nostra cultura greco-latina gioca un ruolo centrale, tuttavia sembra iperbolico all'accostamento, anche solo in termini bibliografici, a Dio e Amore (che sono poi due facce della stessa medaglia). Essendo un elemento culturale profondo, connesso alla cura della terra, all'attività umana, ai lavori dei monaci, al piacere del consumo e alle necessità alimentari (vero e proprio alimento più facilmente conservabile di molti altri), il vino ha ben meritato un posto ai vertici dell'interesse storico-culturale delle varie epoche. Simili interessi sono stati comunque dedicati anche a tanti altri aspetti della vita e della cultura: viaggi, caccia, tattiche di guerra, architettura, politica...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIo ho usato DRC solo come un esempio utile perché è estremo, ma come tutti i casi estremi è inevitabile che ricade anche nel collezionismo; il che che distorce un po' il caso. Ma questo non inficia il concetto, ovvero che il mito ha un ruolo nel vino e lo ha in modo superiore agli altri alimenti. Che la birra sia stata adorata più del vino dai popoli che il vino non lo conoscevano lo ammetto, ma quando è arrivata la vite che è successo? I vichinghi e i loro discendenti plantageneti o angioini la birra non la volevano vedere più nemmeno dipinta. Quanto a Dioniso è vero, è il dio dell'ebrezza e non del vino come Bacco, ma in tutti i riti e i misteri a cui era connesso il vino è protagonista e simbolo. Non vedo analoga componente mitica nel formaggio o nel cavolo verza, onestamente. Viaggi, caccia, tattiche di guerra, architettura o politica sono un'altra storia, hanno certo una componente mitica ma non sono cibo.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkNon per andare fuori tema, ma che la birra fosse più popolare del vino presso gli egizi è una sua credenza buttata lì a caso o è documentata da qualcosa? No perché è esattamente il contrario, il consumo di vino era il più diffuso presso le classi più agiate e a differenza della birre era usato per scopi religiosi e cerimoniali, soprattutto per i culti osirici. Non mi esprimo sulle altre prime civiltà che ha indicato, tra cui ovviamente i vichinghi non c entrano nulla, ma anche lì le affermazioni che ha fatto sarebbero da approfondire.
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkRiccardo, non sono uno storico, ma da appassionato di prodotti enogastronomici, ho letto di diverse divinità connesse alla birra: i vichinghi la usavano nei funerali, gli Egizi la producevano per gli dei, i sumeri adoravano la dea Ninkasi...mi fermo qua, il concetto era solo quello di dire che non di solo vino campano le religioni, ma di elementi culturali vari. Detto questo, sono il primo a ritenere che il medioevo è arrivato quando vino e olio sono stati sostituiti con birra e burro
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkGigi, certo che di non solo vino campano le religioni! Ed infatti non gli ho mai attribuito un monopolio, ma solo una componente di “intangibile” (che possiamo chiamare mito, o come preferisci) che influisce sui prezzi in modo maggiore di quanto fa in qualunque altro alimemento. Essendo che è unica, una qualche ragione deve pur averla.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkRiccardo, concordo con lei ma ho usato un termine fraintendbile. Con popolare intendevo più apprezzato. Conosco l’uso cerimoniale e per le classi superiori del vino, e a quello alludevo quando parlavo di una componente di mito nel suo consumo.
RispondiAntonio C.
circa 6 anni fa - LinkA proposito di Romanèè Conti, in tutta la discussione si dimentica di sottolineare un elemento fondamentale: il numero di bottiglie prodotte! A differenza dei fenomeni nostrani che dopo il primo successo di vendite decuplicano la produzione, a Montalcino stesso abbiamo esempi del genere, DRC produce oggi più o meno lo stesso numero di bottiglie che produceva negli anni '50. Ovviamente in un mercato che si apre sempre più verso paese nuovi l'effetto domanda/offerta porta a prezzi esorbitanti.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkChe la scarsità di un prodotto ne aumenta il prezzo, a volte è vero. Non sempre né automaticamente, ma può accadere. Che nei casi estremi di collezionismo si arrivi al parossismo dei prezzi è altrettanto vero, ma questo non accade negli alimenti. Solo nel vino. O, almeno, non in misura così estrema. Il manzo Kobe o il caffè Kopi Luwak costano molto di più dei tipi normali, ma sono casi davvero unici e non comportano differenze di prezzi così enormi. Nel vino invece ci sono moltissimi casi. Perché? Perché la componente di mithos nel vino può arrivare a livelli enormi. E perché nel vino si e negli altri alimenti no? Secondo me perché mithos e vino sono connessi da sempre in modo inestricabile, mentre gli altri alimenti no. È una teoria, ovviamente, e magari non è corretta. Però non vedo altre spiegazioni.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...la fotografia effettuata è il dato oggettivo, le cifre sono li a dimostrarlo senza ambiguità , in termini di sproporzione di valori economici . Ribadendo che il prezzo di Euro 3000 per Romanée Conti è irreale come valore di mercato (oggi si scambia a 9000 - 12.000 Euro per le annate medio buone , con punte di oltre 15.000 Euro per annate come 2002 - 2005 - 2009 - 2010 e 2015) , la mia puntualizzazione serve solo ad amplificare quanto detto dal Dott. Colombini Cinelli. L'intangibile sul vino elite non è dissimile da altre tipologie merceologiche rare ed ambite. Che l'incremento di qualità , sopra certi valori, sia esercizio epico e concettualmente difficile da comprendere (infatti la funzione "Qualità" non è né esponenziale né tanto meno rettilinea ma logaritmica) , non basta a significare il poco delta qualitativo fra alcune eccellenze "da 50 Euro" e le migliaia di Euro di alcune altre .Ma il fenomeno non è solo circostcritto al gioiello di DRC , chi la jattura di essere appassionato di Borgogna , basta citare alcuni Montrachet (Leflaive e DRC su tutti) , La Romanée di Ligier Belair , i vari Cros Parantoux (peggio se maturi di Jayer) , tanti MUsigny (Roumier , Leroy ...) dove i 5.000 Euro sono ormai un ricordo ormai lontano . Ma non solo limitato alla Borgogna , anche a casa nostra il millino ormai lo sfiorano alcuni vini , cos' come in altre aree (ES: Cuvéee Cathelin Chave in Rodano oppure TBA di Egon Muller di Mosella). Sta di fatto che l'incontro fra le caratteristiche relative a unicità del territorio, bravura del produttore , difficoltà di reperimento, storia, bontà oggettiva del manufatto determinano un mix esplosivo per la determinazione del prezzo finale . Io vi assicuro (fidatevi) che l'emozione che danno i vini citati sono esperienza di vita, per l'appassionato ma, soprattutto , per chi ha compiuto un percorso del berealto abbastanza significativo ...
Rispondiluis
circa 6 anni fa - LinkEmozione giustificata dal Mito, appunto. Dal confrontarsi con qualcosa che trascende il razionale. Dall'attribuire ad un qualcosa un valore superiore all'oggettivo per poterne creare un'epica altrimenti ingiustificabile. Detto con una punta d'invidia, ovviamente.
RispondiStefano
circa 6 anni fa - LinkConcordo sulle emozioni, e più che di mito parlerei di magia. Il paradosso però è che con queste cifre non stiamo più parlando di vino, con tutto il portato descritto da ECC, bensì di beni da collezione, quando non di strumenti finanziari
RispondiAlessandro Riva
circa 6 anni fa - LinkQuoto in toto le parole di Vinogodi... Se non si provano almeno una volta nella vita le bottiglie menzionate non si capisce la profondità e densità delle sue parole...
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkNo, non ce la faccio. Anzichè 1 bottiglia da 10k di DRC mi compro 400 bottiglie a 25 € della Fattoria dei Barbi e bevo bene per due anni e qualcuna la regalo facendo bella figura. Oppure mi compro 400 bottiglie da 25 € tutte diverse tra loro e amplio i miei orizzonti. Perdonate se rinuncio al mythos per il logos, ma la teoria "va provata almeno una volta nella vita" troppo spesso diventa un passepartout per giustificare gli eccessi dei tratti lascivi della nostra compiacenza. So che dopo questo commento riceverò tante critiche, le attendo a braccia aperte.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkGigi, per me la sua scelta va benissimo però quando penso a DRC confesso che soffro. Con più o meno centomila bottiglie (tra le sue varie etichette) probabilmente porta a casa il doppio del fatturato totale del Brunello di Montalcino, e tutto questo gap si è creato durante la mia vita; quando ero ragazzo a casa mia quei vini li bevevo, non costavano tantissimo più dei nostri. Cavolo che bravi, mi fanno sentire come quello che fa i decori sulle porte in confronto a Leonardo da Vinci.
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkStefano, lei fa un ottimo vino a un prezzo accessibile che le permette di raggiungere tante persone normali. Sono sicuro che non dispiacerebbe a nessuno potersi vantare di produrre il vino più costoso del mondo, ma non sono sicuro che cambierebbe la sua azienda o il suo modello di business con quello di DRC. Una provocazione che toglie fascino al mito e mi riporta con i piedi per terra di un volgare ingegnere quale sono: è più difficile fare un prodotto eccellente che non ha nessun vincolo di costo, o un ottimo prodotto che deve potersi vendere a prezzi ragionevoli competendo con un mercato globale in continua evoluzione dinamica? DRC esiste perché esistono realtà come la vostra, in grado di far conoscere grandi vini a un vasto pubblico, promuovendo in questo modo sia la passione enoica che la tensione verso l'alto.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIo ho la straordinaria fortuna di fare un lavoro che mi piace, e di farlo nel posto che amo. Non lo cambierei anche se non ci fossero, e ci sono, vincoli di storia, famiglia e tradizioni. Detto questo, constato un fatto oggettivo: quaranta anni i proprietari dei grandi vini di Francia e noi facevamo lo stesso lavoro. Ora non più. E un altro fatto oggettivo: potendo investire non più di quindici Euro a bottiglia per produrre qualità, sono competitivo con chi può metterci cento volte di più. Devo ricordarmi di fare le congratulazioni a Maurizio Cecchini, il mio cantiniere e enologo interno.
RispondiJosè Pellegrini
circa 6 anni fa - LinkLettura intrigante. Grazie .
RispondiAndrea
circa 6 anni fa - LinkA proposito di miti: ieri sera stappate 4 bottiglie 2010 di Montalcino. Era il compleanno della mia donna e volevo qualcosa che rimanesse impresso nella mente e nel cuore degli invitati.Tre Brunelli di cui uno si fregiava di 100/100 di un arcinoto degustatore e un Moscadello vendemmia tardiva. Indovinate per cosa hanno fatto un salto sulla sedia gli invitati.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkChi può dirlo? Dovrei sapere che gusti hanno i suoi commensali, quali erano i vini, con che cibi li avete bevuti. Non sapendo nulla di tutto ciò, posso dire solo che personalmente trovo che troppo spesso sottovalutiamo i vini dolci. Confesso che a volte ho la tentazione di uccidere i barbari che usano dei grandiosi vinsanti per intingere i biscotti.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkSe quel 100/100 era il casanova di neri e' chiaro perche' i suoi commensali nn hanno fatto salti di gioia....
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkMa che, scherza? Capisco dire che è meglio la trattoria del cuoco stellato fa sentire ganzi, ma ha poco senso. Casanova di Neri è un Brunello molto, molto buono.
RispondiAndrea
circa 6 anni fa - LinkOtto commensali, equamente distribuiti fra i due sessi, età 40-50, piuttosto tradizionalisti e poco inclini allo sciamanesimo in bottiglia ; Tenuta Nuova, Capanna e Canalicchio di Pacenti, Moscadello vt di Capanna, etichette visibili. Cinghialone in umido coi Brunelli e semplice Gorgonzola stagionato col Moscadello. Bello importante Tenuta Nuova, ma pure il prezzo, non molto sotto Capanna e con una di Casanova ne prendo 6 e Pacenti buono ma da rivedere tra qualche anno. E però il salto sulla sedia é stato per il Moscadello. A San Silvestro abbiamo stappato Chateau Coutet 2007 ed il ricordo era ancora vivido, ma credo che quello del Moscadello rimarrà molto più intenso e a lungo.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIl Moscadello a vendemmia tardiva è un gran vino, era un famoso già mezzo millennio fa e non certo per caso. Peccato che il mercato non lo apprezzi per quel che vale. Mi fa piacere che abbiate provato tre Brunelli, poi ognuno fa le considerazioni che vuole su prezzi e altro ma l'importante è che erano ottimi. Perché quest'anno lei e i suoi amici non venite a Benvenuto Brunello? Ci sono davvero tante aziende ottime da assaggiare, e troverete anche altri spettacolari Moscadello a vendemmia tardiva; Montalcino è un continente, c'è tanto da scoprire.
RispondiAndrea
circa 6 anni fa - LinkE mi permetto: a quando, dopo la bella narrazione della nascita del Brunello a Montalcino, quella della morte (eutanasia) del Moscadello? Storia e terroir per Il Moscadello a Montalcino c' erano, perché c'è stato bisogno de reinventarsi? O perlomeno: perché la nascita dell' uno ha significato la morte dell' altro? Grazie
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkDifficile dire perché il Moscadello sia quasi morto, i gusti cambiano nei secoli. Ad esempio, un amico mi ha fatto vedere una tesi di laurea sul Chianti negli anni '20 che sosteneva che a quell'epoca la maggior parte era bianco! Non con una componente di uve bianche, proprio bianco. Mah, non saprei dire se è davvero così, ma la cosa è intrigante. Moscadello e Brunello hanno convissuto fin dall'inizio, le prime citazioni sul Moscadello sono del '500 così come il testo di Marc'Antonio Rigaccini che cita per la prima volta il Brunello. Poi il Moscadello ha iniziato a calare. Per quanto ne so nell'800 era stabilizzato con acido acetilsalicilico salicilico (aspirina), come le conserve di pomodoro e le marmellate, e questo negli anni '50 è stato proibito; magari una concausa della fine è quella, ora abbiamo tecnologia per tenere stabile quel vino ricco di gomme ma allora...
RispondiAndrea
circa 6 anni fa - LinkÈ sempre un piacere quando compaiono i suoi articoli. Grazie veramente.
RispondiPp
circa 6 anni fa - LinkGentile Stefano Cinelli Colombini, peccato aver letto in ritardo un post così interessante! Finalmente qualcuno, di “peso”, intendo, chiaramente, dal punto di vista della conoscenza del “mondo del vino”, ri-affronta problematiche che nessuno sembra più porsi. E mi fa piacere che sia proprio un produttore di vino (non un enologo, un degustatore di professione o di passione, un distributore, un ristoratore …) a porre, a mio modesto avviso, un problema centrale del vino e del cibo tout-court: la forte componente storico-culturale. “Il vino è trasversale, è l’unico che ha significati immateriali in ogni cultura del mondo. Ispira il sacro e i poeti, è proibito, è benedetto, è sangue di divinità. Ha una bibliografia infinita, probabilmente superiore a qualunque altra cosa connessa all’uomo salvo Dio e amore”. Sono ingegnere, ma ho avuto (o subito!) un lungo percorso formativo interdisciplinare e, pur valutando le mie scarse conoscenze in campo, pochi antropologi o sociologi sarebbe stati più chiari al riguardo! Il vino ha smesso da almeno 50-60 anni di essere cibo-“sacro” (o "magico") per diventare altro; io mi auguro per ritornare ad esserlo. Non c’è un solo “economista del vino” che non sia sfiorato dal dubbio che assieme al pane, all’olio, al formaggio, agli insaccati …, il vino è riuscito a sopravvivere a qualunque “ciclo di vita del prodotto” dalle teorie economiche, proprio per la “storia” che incarna e non per i capitali che ha pur movimentato. Però, mi perdoni, ma aver preso Romanée-Conti come riferimento estremo mi sembra sia stato un po' un azzardo. Per quel che ricordi (sono sicuro che saranno cose che conoscerà molto meglio di me), Romanée-Conti si può considerare più di “un mito” perché ha una storia “scritta” che risale ininterrottamente al 1232, anno in cui l'Abbazia di San Vivant in Vosne acquistò i primi due ettari circa di vigneto. Parliamo inoltre di una regione nota per la nascita (1069 circa) e lo viluppo del movimento dei Circestensi, famosi, tra l’altro, già ai quei tempi, per la produzione e commercializzazione di vini in Francia, Germania e Paesi Bassi. Per non parlare della leggenda – che per noi moderni, troppo poco avvezzi agli studi storici, è già “storia” – di Aloxe-Corton e delle viti di uva bianca fatta piantare da Carlo Magno (siamo quindi intono alla fine del ‘700 d.C.) Benché personalmente trovi davvero assurdo che un vino possa costare così tanto, essendo costretto, purtroppo, ad esser un “uomo di mondo”, me lo posso aspettare. Di certo, non è possibile giustificare tutti i produttori “limitrofi” che hanno a loro volta aumentato a dismisura il prezzo. Il grande Vinogodi ha perfettamente descritto il fenomeno e per giunta ha fatto un’affermazione per la quale lo abbraccerei fraternamente (e la cui consapevolezza credo sia più diffusa, purtroppo, tra gli addetti ai lavori, benché impatti fortemente su tutti noi): la funzione "Qualità" non è né esponenziale né tanto meno rettilinea (“lineare”) ma logaritmica”. Ma come dallo stesso precisato, neanche questo può giustificare in assoluto simili delta di prezzo. Devo però constatare la mia grande ingenuità: credevo che i prezzi del DRC fossero già alti da moltissimo tempo e non dagli anni ’70, immagino, pensando alla sua età! Quello che lei ha scritto a proposito mi ha turbato alquanto. Ma il sapore della verità, anche quando amaro, lo preferisco a tutto. E capisco perfettamente che, soprattutto perché testimone diretto degli eventi, lei sia “incazzato” (scusi il termine). Un’ultima cosa: non credo servano 300-400 anni per arrivare ai livelli vitivinicoli della Borgogna, basterebbero 30-50 anni di serie sperimentazioni. Però è anche vero che quella che nell'immaginario collettivo è vista come l’indolenza siciliana, è invece una caratteristica mediamente presente in tutta Italia e, purtroppo, a tutti i livelli sociali e culturali. Mi piace pensare, per non “incazzarmi” a mia volta, che ciò succede perché siamo l’unico Popolo moderno al mondo che ha avuto ed ha la possibilità media di bere e mangiare meglio di tutti gli altri Popoli! Di nuovo complimenti per il suo post e grazie per le preziose informazioni.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkMio caro Pp, nulla nel vino risale al ‘200. Sono cambiati climi, vitigni, tecniche e tutto il contesto. Se la mettiamo così, la mia famiglia data più o meno dal 1050 per cui il mio vino sarebbe pure più vecchio; ridicolo! I francesi sono maestri nel marketing, maestri assoluti. Nel vino hanno storia, certo, ma parlando seriamente qualche azienda ha una qualche forma di continuità che parte dalla rivoluzione. Un paio di secoli, e parlo di poche e di continuità molto vaga. Un secolo o un secolo e mezzo sono più realistici. Poi ognuno colora il mito come meglio gli riesce, e sfruttare ogni frammentino di pergamena è più che lecito. Noi italiani, se vogliamo essere proprio onesti, abbiamo da cinquanta anni a un secolo di storia. E solo pochi di noi. Ma questo è solo un lato del problema. Anche in tempi recenti sia noi che i francesi siamo mutati, e non poche volte volte. Ricordo i racconti del signor Bömers, a suo tempo capo acquisti delle ss in Francia e poi, nel dopoguerra, importatore di quegli stessi vini in Germania; la realtà di quelle aziende è interessante, ma significativamente diversa dal mito. Anche nei rapporti con gli occupanti. Noi non abbiamo secoli di ritardo dai francesi, abbiamo percorso strade diverse ma che poi erano divenute molto vicine negli anni settanta e ottanta. Poi loro hanno trovato un nuovo mercato, mentre noi eravamo occupatissimi nel fregargli i loro vecchi mercati. Loro hanno scoperto il super lusso. Nel 1970 i grandi vini di Francia costavano quanto un Brunello Biondi Santi, ora la differenza è di uno a cento o più. DRC fattura più dell’inteto Brunello di Montalcino con centomila bottiglie contro nove milioni, e con quegli utili può fare un marketing, una cura dell’immagine e del prodotto da fantascienza. Tutto questo è avvenuto in trenta anni, non in trecento; bravi, straordinari. Però imitabili, se siamo molto, molto bravi.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkSecondo me la differenza, la forza, il mito che hanno saputo costruire aziende come romane' conti , leroy, ligier bel air e compagnia e dunque il conseguente prezzo dei loro vini sono dovute essenzialmente a 3 fattori. 1) valorizzazione estrema delle caratteristiche del del loro territorio con una esaltazione estrema delle caratteristiche delle varie parcelle dei loro vigneti ( come dice De Villaine il loro vino nn deve sapere da pn ma avere le caratteristiche di ogni singolo cru). 2) costanza qualitativa dovuta a lungimiranti investimenti anche sul materiale umano che opera in vigna ( nn al ricorso di "squadre,, dalla professionalita' quantomeno discutibile....) 3) rispetto della tradizione. Stessi vitigni da secoli stesso sistema di allevamento CONTINUITA' AZIENDALE (molti vigneti appartengono da secoli agli stessi propietari con il conseguente accumulo di conoscenze) Ora personalmente se dovessi scegliere un posto dove far vino climaticamente credo che uno dei posti migliori al mondo sia duor di dubbio Montalcino! Basta far un giro tra quei vigneti e camminare su quella terra per rendersene conto! Al confronto climaticamemte la borgogna e' un posto dove far pascolare le capre....( estremizzo...) E' allora perche' i nostri vini nn hanno tale allure mitico? Perche' nancano tutte e 3 le succitate caratteristiche! ( es mi perdoni la critica dr Cinelli ma quando passo davanti ai suoi vigneti nn riesco a trattenere ogni volta una lacrima...)
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCapisco i punti che indica, ma conoscendo la realtà loro e nostra non so quanto siano pertinenti. La valorizzazione estrema di ogni vigna non è poi così diversa da loro o da noi, no. Vorrei invitala a vedere come lavorano molte delle famigerate “squadre”, rimarrebbe sorpreso. E, ahimè, i francesi sono messi molto peggio di noi in questo; è molto raro che nelle loro vigne veda un discendente di Asterix. Quanto alla costanza di proprietà, egoisticamente le dico magari fosse! Se bastasse quella, i vini dei miei amici Ricasoli batterebbero tutti! E anche i miei, ne atterrerebbero tanti. Ahimè, non è così. La realtà è che la differenza tra i migliori italiani e DRc e simili non è nel bicchiere, alla cieca ci battiamo. Possiamo vincere noi, e possono vincere loro. La differenza sta nell’immateriale, e li non c’é gara. Sono troppo più bravi, e il mito francese dal tempo del Re Sole è un’altra cosa. Però i miti, come gli Dei, mutano. E ho speranze.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkMi perdoni dottore, ma quelle squadre come lavorano purtroppo lo vedo eccome! E secondo me si dovrebbe partire appunto da li dalla formazione del personale! Se un operaio venga pure da bonconvento o dal bukina faso nn e' formato adeguatamente certi risultati nn si ottengono! Che poi mi si dica che la borgogna sia il posto al mondo col peggior rapporto q/p del mondo su questo credo ci siano poco dubbi! Li la variabile produttore/annata e' enorme! Ma nn e' solo marketing .ridurre solo a questo la creazione del loro mito mi sembra quanto meno riduttivo!
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkMi pareva di averlo scritto nell'articolo e di averlo ripetuto molte volte, ma forse non sono stato abbastanza chiaro; marketing e mito sono due cose diverse. Il marketing lo si fa con i soldi e anche con la creatività, il mito no. O esiste o non esiste, ma con i soldi o con la brillantezza intellettuale non lo si crea. Il vino ha una componente di mito esorbitante e questa influisce sui prezzi, come la vicenda dei grandi vini francesi esemplifica e dimostra. Quanto poi alla ricerca della qualità estrema, ci sono tre punti. Primo, non credo assolutamente che gli utenti di un vino da migliaia di Euro siano in grado di percepire dettagli finissimi di qualità; che possano riconoscere la differenza tra un grandissimo vino ed uno mediocre magari si, ma che si accorgano di quella che passa tra un vino straordinario ed uno ancora più eccellente lo escludo. Non ne sarei capace nemmeno io, una percezione a quel livello è patrimonio di pochissimi. Per cui la qualità estrema per accedere a quella fascia di mercato è inutile, serve altro. Secondo, sono i tecnici (interni ed esterni) in cantina ed in vigna fanno la differenza, le squadre se ben dirette non fanno lavori diversi da quelli che fa un operaio italiano ben formato. E comunque non è il lavoro delle squadre che impedisce la produzione di qualità estrema. Terzo, anche questo l'ho ripetuto varie volte; se il prezzo stellare di quei vini non è dovuto alla qualità estrema (che anche alcuni vini italiani hanno, non è proprio solo dei francesi), se non è dovuto al marketing (altrimenti giganti come Costellation inventerebbero domani etichette così) e neppure ai secoli di esperienza nella vigna (che anche qualcuno di noi ha) o in cantina (perché l'enologia si evolve continuamente, e quello che era top cento ani fa ora a noi non piacerebbe per cui le ricette di cento anni fa sono poco utilizzabili), allora che resta? Il Mito. Con la M maiuscola. Poi il Mito va coltivato, gestito e usato con maestria, certo, ma se non ce l'hai nessuno sborserà cifre folli per comprare le tue bottiglie. O i tuoi gioielli. O i tuoi dipinti. Perché si troveranno sempre copie perfette, o oggetti di qualità oggettivamente comparabile (oppure addirittura superiori), ma non spunteranno mai il prezzo di un Uovo Fabergé.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkIo penso che le differenze di prezzo fra i nostri vini e miti assoluti come romane' conti ma anche leroy o ligier bel air e la borgogna on genere sia a mio parere dovuta essenzialmente a 3 caratteristiche che i produttori di Borgogna hanno saputo sviluppare e valorizzare con un lavoro di secoli ed al momento che la platea dei clienti dei loro con la globalizzazione si e' espansa enormemente e quindi il conseguente lievitare dei prezzi di pari passo all' aumento della domanda. 1) valorizzazione estrema dei cru con una suddivisione qualitativa dei medesimi che nn ha eguali al mondo (monntalcino nn si chiama montalcino vigna del fiore...gevrey chambertin ad es si!)con la conseguente parcellazione ed esaltazione di ogni singola vigna (De Villaine afferma che il pn nn deve avere le caratteristiche del vitigno ma quelle del cru da dove proviene!) 2) sviluppo e investimemto nel materiale umano che lavora in vigna piu' che in cantina! E' li che si costruisce il vino secondo i borgognoni! Da noi molte volte si ricorre a "squadre" di dubbia professionalita' mentre nn si lesina su " enologi star,, . In borgogna si pensa che in cantina nn si debba fare danni e il nome dell' enologo nemmeno viene citato. Qui sembra sia uma specie di dio risolvitutto! 3) Tradizione! Stessi vitigni da secoli stesso sistema di allevamento stessa zonazione da secoli dei cru Continuita' aziendale ( molti vigneti appartengono alle stesse famiglie da secoli con conseguente accumulo di esperienza e quindi continuita' e costanza qualitativa) Ora pero' se io dovessi scegliere climaticamente un posto dove far vino certamente nn sceglierei la borgogna ma Montalcino! Basta camminare tra quei vigneti e camminare su quel terreno vedere quella luce fantastica per capire che pochi posti al mondo son cosi' vocati per la vite! A confronto la borgogna e' una landa desolata! (Estremizzo) E allora perche' queste differenze? Perche' quelle 3 caratteristiche per es a Montalcino mancano nella stragrande maggioranza dei casi ( mi scusi dr Cinelli ma ogni volta che passo ad es davanti ai suoi vigneti nn riesco a trattenere una lacrima...)
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkScusi, per errore la risposta mi è venuta al rigo di sopra. Sulla differenza di qualità tra noi e i grandi francesi parlo li. Quanto al mercato, la domanda si è davvero allargata ma non è quello che fa vendere vini a prezzi che venti anni fa erano inimmaginabili. Quel mercato non esisteva, è nato nel nuovo millennio o poco prima. Loro lo hanno intercettato grazie al mito, e solo grazie al mito. È il mercato delle auto da un milione di Euro, altro prodotto che prima nonc’era. Noi non ci siamo in quel mercato, che forse (ma è un forse detto solo per cortesia, non perché ci credo) valuta il valore di mito molto di più rispetto alla messa a punto estrema della qualità a cui lei si appella. E questa non è una pantomima da “la volpe e l’uva”, è solo constatazione della ovvietà. Il fatto è che la componente immateriale in un vino è altrettanto, e forse più, reale di quella qualitativa. E qui rientro sul punto di partenza, la componente di mito nel vino è imponente, superiore ad ogni altro cibo. Perché?
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkPer rispondere alla sua domanda io penso perché il vino sia l'unico prodotto in cui la componente culturale e quella naturale sono così tanto bilanciate; questo penso trascenda anche il campo dell'alimentare. È questa l'unica peculiarità che fa sì che il vino abbia un portato significativo così ampio sin dagli albori della civiltà, dove è infatti presente in tutte le mitologie arcaiche, peraltro con tanti tratti affini presso diverse culture che poco avevano da spartire tra loro. Il discorso è un po' lungo da affrontare qui ma in estrema sintesi a mio giudizio l'eccezionalità del vino sta proprio nell'esemplificare esattamente la realtà come espressione di un rapporto simbiotico tra l'uomo e l'ambiente in cui vive, per l'appunto tra la cultura e la natura. Non che c'entri nella discussione in ballo, ma questo fatto infatti mi fa sempre meravigliare quando sento parlare spesso di vini naturali e mai di vini culturali, quando entrambi i concetti se usati in maniera esclusiva snaturano profondamente la vera eccezionalità di questo straordinario prodotto, che raggiunge le sua piena espressività solo con un bilanciamento di queste due parti.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkQuello che scrive è assolutamente esatto, il vino è unico nel suo perfetto equilibrio tra componente culturale e naturale. Ma questo si applica ad ogni vino, e non spiega differenze così ampie di prezzo da sfiorare l'incredibile; perché un ottimo Barolo è acquistabile facilmente a € 30 o poco più, mentre un Romanée Conti è introvabile e costa più di € 10.000? O magari € 15.000? Entrambi sono una perfetta sintesi di territorio, cultura e natura. Ci deve per forza essere qualcosa in più. E a questo proposito azzarderei una provocazione. Perché tutti ricordiamo il discorso di Churchill sulle lacrime ed il sangue, e nessuno rammenta il lavoro oscuro del generale Marshall che curò la logistica degli eserciti alleati influendo così molto di più sulla vittoria? Perché i 300 e Leonida sono indimenticabili, molto di più delle decine di migliaia di guerrieri greci che in realtà sconfissero persiani? Quelli sono miti fondanti, cose molto più grandi e più serie di un vino, ma appartengono alla stessa famiglia di quello che permette i prezzi stellari di Romanée Conti. Come una tigre e il mio gatto, ma la famiglia è la stessa. Questa naturalmente è solo una mia interpretazione personale, non è che così parlò Zarathustra; è giusto per affinare due pensieri insieme con altri che partecipano al gioco.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkSalve, io ovviamente rispondevo al mito sul vino in generale. Se chiede il caso specifico di Romanée-Conti è un po' una combinazione di fattori. Anzitutto è sbagliato secondo me generalizzare il discorso per i vini francesi. Oramai a livello di appeal sui mercati (non entro nel giudizio sui vini in sé), l'Italia ha fatto passi da gigante in molto meno tempo delle Francia. Se togliamo l'esempio della Borgogna, che è un unicum (e della Champagne per le bolle, ma è una storia totalmente diversa) non è che poi la Francia sui mercati nel segmento dei vini di lusso a livello di prezzo sia poi così un altro mondo rispetto all'Italia. A creare miti e a dare determinato valore al vino abbiamo imparato benissimo anche noi. Anzitutto la differenza è che Romanée-Conti sta in Borgogna, che è sicuramente il terroir a livello immaginifico più prestigioso al mondo e questo fa un po' da moltiplicatore al fenomeno. Noi sicuramente abbiamo imparato bene come i francesi a vendere le etichette, un po' meno a vendere i territori. Come rilevato sopra da altri utenti non è che in Borgogna possano vantare una storia più antica che in tanti altri posti (la vite tra l'altro ce l'hanno portata i romani) , ma riescono meglio a comunicare un'idea antica di continuità (che ovviamente è un'idea perché il Romanée-Conti del 1300 non c'entra nulla per mille motivi con quello che è oggi). Il fatto comunque che fosse prodotto sempre con Pinot Nero, sul medesimo fazzoletto di terra tanto basta. Lei come tante illustri Famiglie del vino italiano può vantare altrettanta storicità temporale ma nessuno hai mai fatto (o fatto credere) la stessa cosa, ovvero far sentire o comunicare un legame tra il prodotto che beviamo oggi e quello di 800 anni fa. Qui sta la grande differenza con Romanée-Conti. In Italia, ma in questi tutti i territori del mondo, il legame con la vigna non è neanche lontanamente così ben comunicato: in quasi tutti i casi le vigne non sono nemmeno classificate (qui la Borgogna ha ereditato una bella fortuna dal passato) e dove c'è un minimo di categorizzazione questa poco incide sul prezzo in quanto il produttore è sempre il discrimine. Obiettivamente dire che beviamo un Montrachet e dire che beviamo un Cerequio non è proprio la stessa cosa. A questo aggiungiamo un altro fattore, anche questo già citato sopra, che è quello della produzione limitata che va a determinare l'offera sul mercato. Se di Romanée-Conti ne facessero tanto come di alcuni Cru Classé di Bordeaux nonostante il suo mito costerebbe un decimo o poco più. Essendo estremamente frammentata a livello di Cru, la Borgogna tutti la vogliono ma poca ce n'è nelle sue sfumature.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCerto, quanto ho scritto si riferisce esplicitamente (e solo) ai grandi vini francesi di cui DRC è solo il caso più eclatante, anche non poi così abissalmente lontano da qualche altro come Latour. Mentre i prezzi di tutti loro sono su un altro pianeta rispetto agli italiani paragonabili. Quello che lei scrive è esatto ma non del tutto, bazzicando i mercati di vino di tutto il mondo vedo che il gap tra noi e i francesi varia per classi di prezzo; la più bassa è molto vicina, e via via che saliamo la forbice si allarga. Già a livello medio la differenza è significativa, e mi azzardo ad affermare che non ha alcuna giustificazione di qualità. Tra gli alti la differenza di prezzo diviene davvero molto alta, e tra i top di gamma parliamo ormai di un'altro prodotto. Ma al riguardo avrei un paio di osservazioni curiose. Nei loro mercati tradizionali, che sono Germania, Inghilterra e USA, mi pare che quei vini si vedano molto, molto meno. Forse ora sono in luoghi ove io non vado. Può darsi. Invece so che ora sono molto presenti (relativamente alle loro quantità, è ovvio) in Giappone, Cina e Russia. E su internet, ma non sui canali che usa la mia azienda. Forse, e dico forse perché non ho modo di verificare questo fatto, quel piccolo gruppo di vini francesi di altissima gamma ha cambiato i suoi mercati di riferimento. E lo ha fatto a partire dal 1995. Questo porta a due osservazioni. La prima è che si sono creati mercati con capacità di spesa che prima era riservata a corti reali e simili, ma che ora riguarda numeri significativi di persone; questo è un fatto noto, ma che la loro voglia di esclusività si allargasse anche al vino era un fattore che noi produttori italiani abbiamo sottovalutato. Secondo, può essere che la crescita dei vini italiani di altissima e alta gamma su quei mercati dopo il 1995 sia (anche) connessa al fatto che quando i francesi perdono su un mercato l'aiuto di immagine dei loro top di gamma sono più vulnerabili. È una ipotesi suggestiva, che rafforzerebbe l'idea della grande importanza del mito nel vino. Per tutto il vino, non solo per i prodotti di punta. Il fatto che dalle statistiche i francesi risultato fortissimi soprattutto in quei mercati che appaiono essere i nuovi target dei loro vini da Mito parrebbe rafforzare questa ipotesi.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkPerche' tutto cio' che fa' parte della componente ludica della vita sono soggetti a leggi di mercato svincolati dal valore materiale del prodotto! Il vino specie quello di qualita' ha perso la componente alimento x assumere alla n potenza il valore di esaltatore e accompagnatore dei momenti lieti! Ma questo vale nn solo per il vino ma ancheper gli stipendi di calciatori, attori modelle cuochi.! Poi co metta che il pinot nero ha qiella fama di uva impossibile con cui tutti prima o poi vogliono cimentarsi...
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkIl vino non è mai stato neanche 8000 anni fa solo alimento, ha sempre avuto un assetto assiologico complesso sin dagli inizi.
Rispondiantonio c.
circa 6 anni fa - LinkBravo Stefano a lanciare un argomento molto stimolante che ha scatenato una serie di risposte tutte più che condivisibili. Per fare l'avvocato del diavolo, visto che si chiama in causa spesso Montalcino, più di DRC mi scandalizzano i prezzi raggiunti da certi Brunello che alle spalle non hanno la storia della suddetta o della Fattoria dei Barbi, ma solo qualche giornalista benevolo che ha spinto i prezzi ben oltre i 100 Euro per certi vini che dubito li valgano. Inoltre tornando al Barolo citato da Stefano, qualcuno è in grado di dirmi quote bottiglie si producono e commercializzano di quel vino famosissimo che con l'annata in corso ha qualche volta superato la soglia dei 1000 Euro?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkSono più che contento quando qualunque Brunello raggiunge prezzi altissimi! Sapesse quanto mi aiuta a tenere alti i miei! Battute a parte, forse quando parliamo di prezzi o di miti sarebbe opportuno tenere presente una particolarità del modello italiano. Al contrario di quanto qualcuno ha scritto nelle risposte a questo mio articolo, siamo noi italiani che da sempre facciamo gruppo. Non i francesi. I miei conoscenti francesi, di cui alcuni connessi molto strettamente con alcuni di quei vini straordinari di cui sto parlando, amano ripetere questa frase; voi italiani cacciate in branco. Loro hanno le AOC, ma è una cosa molto diversa dalle nostre DOCG e DOC; a nessuno importa a quale AOC appartiene Latour, e invece io non credo che venderei molte bottiglie (e mai a prezzo così alto) se non facessi Brunello. Non so se noi in Italia riusciremo a creare una nostra DRC, se fosse possibile Antinori o Gaja l'avrebbero fatto. Hanno capacità, risorse e nome più che sufficienti per riuscirci. Ma forse riusciremo a creare una o più "super DOCG", facendo crescere qualcosa all'interno di qualcuna di quelle più prestigiose. Questo lo vedo più vicino al modello italiano, mentre che una sola azienda in Italia possa portare a successo operazioni di questo tipo lo vedo improbabile. Ma insieme........
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...come scrive il Dott Cinelli Colombini , i mercati di riferimento sono cambiati . O meglio , si sono allargati come fascia di "big spenders" , dove non è cambiata la base quantitativa... che non può cambiare rimanendo una costante. Il fenomeno moltiplicatore della Glera ubiquitaria , non è possibile né con la Borgogna né tantomeno per le Langhe . E' successo anche con gli orologi , dove le "Grands Complications" delle grandi maisons svizzere sono esplose come valore quando i mercati asiatici le hanno prese d'occhio , mentre i numeri sono rimasti gli stessi proprio per la difficoltà di produrre quei gioielli della tecnica e del genio umano . Le Langhe , caso unico mondiale paragonabile alla Borgogna (dopo le forzature di Napa "pro domo loro" ) stanno seguendo la stessa logica : logica che non esisterebbe se alla base non ci fosse una qualità che sostenga questa domanda, non pensiamo il mercato solamente come una ondivaga massa di arricchiti plasmabili dalla comunicazione martellante e con l'anello al naso . Montalcino, in Italia, era in pol position , con le grandi famiglie come Biondi santi e Cinelli Colombini (di cui conservo gelosamente gioielli quasi centenari dopo averne bevute a fottio ... per gioia e piacere , oltre che per scienza e conoscenza) con loro colpa unica di non aver sostenuto adeguatamente questo trend di esclusività . Forse Banfi & C non ha aiutato così tanto in quest'ottica, anche se "i locali" ne benedicono ancor oggi la venuta a ranghi compatti (come a Barbaresco di Angelo Gaja , ma qui le proporzioni sono ... improponibili) . Rimane il capitolo di qualità assoluta e non relativa , quella probabilmente (con eccezioni) legata al terroir forse unico di certe aree irripetibili con sommi interpreti a stabilirne legame indissolubile, dove la specificità del vitigno va davvero promossa con forze ingenti (ad esempio il Sauvignon e Cabernet Franc in Loira , il Riesling in Mosella e Alsazia, il Pinot Nero e Chardonnay in Borgogna , il Tempranillo (o Tinto Fino) in Rioja e Ribera del Duero ... e , giust'appunto , Sangiovese (Brunello) a Montalcino , Nebbiolo in Langa e Amarone nel veronese ... dove, perdonatemi , ai livelli massimi non abbiamo nulla da invidiare emozionalmente ... basta applicarsi per farne conoscere le magnificenze ( in Langa ci stanno riuscendo benissimo in brevissimo tempo : Cà'D'Morissio , Monfortino e Crichet Pajé viaggiano verso i mille Euro , come prezzo finale , non a caso ...)
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkEh, l’attivazione di un processo iconico (perché di questo stiamo parlando, i prezzi ne sono solo un riflesso) in certi momenti forse è possibile. Forse alcune aziende piemontesi ce la stanno facendo, forse Montalcino ha perso (o non ha preso a quella fermata) il treno. Per ora lo scenario mi sembra molto incerto, come spesso accade il Piemonte copia il modello francese ma non so quanto sia fattibile. Non dico che non lo sia, semplicemente non lo so. Direi che in California abbiano provato, e per farlo hanno investito capitali enormi (che nessuno di noi ha); non mi sembra di vedere risultati soddisfacenti. Forse la “via italiana”, come spesso accade, sarà diversa.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkRispondo qui anche alla Sua replica di poco sopra. Sono assolutamente d'accordo su quanto ha scritto circa lo stato dei mercati. Io continuo a pensare che la Borgogna sia una storia a parte e che il resto della Francia non sia poi così lontana. Se prima non la vedevamo nemmeno diciamo che ora almeno i fanalini di coda li avvistiamo. Escludendo la Borgogna non è chi mi vengono in mente poi tante etichette di vini fermi francesi che possano superare in uscita come prezzo finale i 1000 €. 6 da Bordeaux magari, forse 2 tra Chateauneuf e Rodano e così su due piedi non mi viene in mente tanto altro. Per l'Italia ne sono stati citati 3 che si avvicinano dalla Langhe, potremmo citarne anche qualcun'altro tipo Masseto per fare un altro esempio. Insomma non mi sembra che ci manca poi così tanto. È la Borgogna poi che sfasa completamente il rapporto a favore delle Francia.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkSe parliamo di prezzi commerciali ok son daccordo ma se parliamo di prezzi cantina i tre succitati nn avvicinano neppure i 400€! Ora in temini qualitativi io penso possano guardare senza paura negli occhi qualsiasi grande di Francia! E nn e' un caso che provengano dalla zona piu' " Francese,, del nostro paese. Una zona dove la zonazione e' una cosa seria dai tempi della contessa del Falletto! A montalcino anche il dr Cinelli su questi schermi ha affermato che tale zonazione sia inutile! Per nn parlare della valpollicella dove la situazione in tutti i parametri che portano alla produzione di un grande vino e' semplicemente inesistente! Perche' nn prendiamo semplicemente atto che a differenza dei cugini francesi che valorizzano le loro vigne all' estremo noi siamo molte volte vittime del successo anche effimero che abbiamo ottenuto! Semplicemente si smette di fare i vignaioli e si delega a pseudomaghi della cantina a risolvere i problemi. Nn so se in borgogna i cottarella i ferrini o i chioccioli avrebbero tanta eco mediatica! E nn mi sembra che abbiano cambiato modo di far vino x rincorrere i gusti di un certo avvocato americano....
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkBoh, magari lei conosce il problema della zonazione meglio di me. Non sto prendendola in giro, non sapendo chi è lei è possibile. Personalmente credo che se un viticoltore desidera fare il miglior vino possibile da una certa vigna lo può fare, ho difficoltà a capire in come una linea sulla carta lo agevoli o lo danneggi. Mi pare del tutto ininfluente. Quanto al mito dell’enologo onnipotente, non ci ho mai creduto e mi pare che quella moda sia ormai passata da tempo. Tanto per fare un esempio, lei sa chi è il mio enologo? Non credo, perché non è un dato che mettiamo al centro della nostra comunicazione. E come noi tantissimi, probabilmente la larga maggioranza. La differenza tra i migliori italiani e i migliori francesi non direi proprio sia tecnica, né penso che sia correggibile con interventi in campo o in cantina. Temo che attenga ad altri campi, non materiali ma non per questo meno reali. O meno influenti su prezzi e vendite. Questo però non è meno grave, forse lo è di più: perché una tecnica in vigna o in cantina è relativamente facile da correggere, mentre quando si agisce sull’immateriale.........
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkQuei non pochi vini di Borgogna, più sei o sette di Bordeaux e e qualche altro del testo di Francia non sono poca cosa. Tutti insieme sono milioni di bottiglie, e sarei curioso di fare un conto di quanto fatturano; non mi meraviglierei se arrivassero non tanto lontano dal valore complessivo dell’export vinicolo italiano. Quanto ai nostri, che dire? Ho anche io a listino vini da qualche migliaio di Euro, e non sono certo il solo. Li vendo? Si. Qualche bottiglia, e sono vecchissime riserve. Ci sono vendite reali di vini italiani sopra € 1.000. Qualche bottiglia, si. Numeri veri? Non so. Ma non certo per un problema di qualità, intendiamoci. Forse un problema di approccio culturale. Forse non è un caso se le grandi maison della moda e del lusso in ogni settore stanno finendo in mani francesi. Forse loro hanno visto prima di noi il nascere di un nuovo segmento di mercato, e sanno usare meglio di noi le leve del mito, dell’esclusivitá e del marketing mirato per arrivarci. Chissà.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link... in questo caso non sono d'accordo . Non è un processo iconico , quello di stabilire una gerarchia qualitativa e , "quasi" di conseguenza, di prezzo di mercato . Riducendo il tutto ad un fenomeno di marketing , significa stabilire parametri fuorvianti . Che il marketing sia importante , non ci piove. Che il marketing stabilisca una piramide qualitativa dove ai vertici sono i vini più ambiti e più costosi , non posso che dissentire . Basta bere e non "analizzare " semplicemente per rendersene conto (parlo in generale , non nel caso singolo del redattore dell'articolo ) . Questa gerarchia , per fortuna, riesce a normalizzare anche le "punte casuali" , perché di fuochi di paglia , molte volte sostenuti dall'entusiasmo di qualche influente guida internazionale, con il tempo ha acquisito la giusta dimensione . Quindi storia, costanza qualitativa , terroir , bravura del singolo produttore, qualità assoluta ... sono i parametri che alimentano il mito . Tutto ciò è da comunicare , ne convengo . Poi c'è anche chi ha un progetto ambiziosissimo e riesce a realizzare tutto ciò in brevissimo tempo ( Pingus e Le Pin) , ma ti assicuro che il dispiegamento di forze per ottenerlo non è solo di natura economica e di comunicazione (conoscendo i protagonisti di persona) , ma un progetto dove la qualità assoluta ha prevalso su qualsiasi logica commerciale fin da subito , compreso lo start up concettuale iniziale ...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon mi pare che non siamo d'accordo, ma forse mi sono spiegato male. Attivare un processo iconico secondo me significa cercare di creare un'icona, un mito. Ed il mio articolo parte proprio dall'assunto che mito e marketing sono due cose diverse. Il marketing si sforza di stabilire una piramide di prezzi al cui vertice ci sono i prodotti che investono di più, direi che su questo non ci possa essere dubbio. Come non c'è dubbio sul fatto che qualità e mito ne generano di completamente diverse, anche tra di loro. Non so come nasce un mito, ho visto genesi così diverse tra di loro che non riesco a stabilire una regola, ma spesso originano da un "eroe"; una figura, appunto, mitica, che fa qualcosa di molto grande senza sentirsi troppo vincolato da economia o realtà. Il ritratto che tu fai di questi due personaggi parrebbe avvicinarsi a questa tipologia, e io non ho detto che non riusciranno; ho scritto che non lo so. I miti potenziali sono relativamente tanti, ma quelli che poi vengono riconosciuti universalmente sono pochissimi. E non è solo una questione di marketing o comunicazione, ovviamente, e dato che non sono un seguace di Monod la butto là; magari è l'icore.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkCerto, i prezzi si intendono quelli commerciali di acquisto da parte del consumatore non quelli da distribuzione ovviamente, che spesso hanno dinamiche e ricariche molto eterogenee. Non entro nel merito della zonazione in generale, ma in questo frangente legato al prezzo credo c'entri molto poco se non nulla. Per esempio non so quanti sappiano che Monfortino tanto per dire viene dal vigneto Francia, tant'è che non mi sembra nemmeno la menzione geografica sia indicata in etichetta. Esagerando non so nemmeno quanti che parlano di Monfortino sanno da comune viene, a discapito del suo nome. La zonazione potrebbe incidere e non poco sul prezzo quando ha una natura gerarchica e non solo descrittiva. Peccato che solo quest'ultima sia possibile oggi per ovvie ragioni. Non vediamo sempre tutto brutto in Italia e bello altrove, la figura del super consulente enologo non l'hanno certo inventata gli italiani e di "ex vignaioli" come li chiama ce ne sono tanti qui come oltre le Alpi o in qualunque parte del mondo.
RispondiPaolo
circa 6 anni fa - LinkAccostare la parola marketing a un domaine, quale la DRC, che vende le bottiglie a una frazione di quello che valgono (perché, dice De Villaine, è solo vino ... e già costa tanto così ), che ha sempre rifiutato qualsivoglia offerta commerciale di merchandising, rinunciando a milioni e milioni senza dover fare alcunché (ricordo che la Ferrari fa miliardi con il merchandising), che produce solo grands crus (salvo poche annate con il 1er cru) e potrei continuare ... vuol dire fare l’esempio sbagliato. I prezzi sono il frutto della domanda e dell’offerta, punto. I motivi ? Sono stati scritti sopra a vario titolo ... ultima annotazione, parlare sempre in termini di ‘i francesi sanno vendere’ generalizzando vuol dire non conoscere la variegata realtà dell’hexagone, e delle profonde differenze che caratterizzano le regioni vinicole, anche al loro stesso interno (e menomale che il prosecco non è francese ...). Quando noi italiani sapremo fare vini come i più grandi di Francia (che sono parecchi, a differenza nostra) allora potremo cominciare a parlare di prezzi ...
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkChe dire? Applausi!! E' la qualita' costante e continua x decenni la componente fondamentale che crea il mito! Nn ci sono ricette magiche nel nostro lavoro. Certi prezzi nn sono frutto del marketing altrimenti basterebbe avere un grande manager e il gioco e' fatto! Magari! Sarebbe tutto mooolto piu' semplice!!!
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkOgni opinione è legittima, però forse le opinioni sarebbero più centrate se prima si leggesse quello che è stato scritto. La mia tesi è che mito e marketing siano due cose totalmente diverse, e ho citato DRC proprio come esempio di come il mito (e solo il mito) riesce e dare un pesante e duraturo valore aggiunto al vino. Mentre il marketing non ci riesce, o almeno non così tanto e non per lungo tempo. Per cui non mi pare di accostare DRC al concetto di marketing che, incidentalmente, non è affatto il demonio. Il marketing al contrario è una roba assolutamente legittima che i francesi (si, proprio i francesi da Hermes al Louvre, passando per DRC e il Roquefort) padroneggiano da maestri, e tanto di cappello ai signori dell'esagono. Quanto al prezzo formato esclusivamente da domanda e offerta, sono d'accordo con lei. Ma c'è un ma, ed è un ma enorme. È nato prima l'uovo o la gallina? Ovvero, cosa genera la domanda? Da quanto leggo della sua lettera lei ritiene che sia solo (o essenzialmente) la qualità, e questa mi sembra un'ipotesi che sfida l'evidenza. Quanto al resto della lettera, che dire; mi farò una ragione del fatto che lei consideri i vini italiani "fatti" in modo così inferiore a quelli francesi.
RispondiPaolo
circa 6 anni fa - LinkEgregio dottore, lungi da me fare polemiche, la Sua replica mi impone però di farLe presente che è nel Suo articolo che si parla di marketing a proposito di uno dei fattori possibili del prezzo della RC (anche se giustamente evidenzia che non è solo questo), poi nei Suoi successivi interventi fa chiaramente riferimento più volte alla capacità commerciale dei francesi (cito: ‘! I francesi sono maestri nel marketing, maestri assoluti’) facendo chiaramente intendere che questo sia un elemento fondamentale nella questione del prezzo, anche della RC. Ultima annotazione, non conosco il fatturato di ‘tutto il comprensorio del brunello’ che Lei afferma ripetutamente essere inferiore a quello della sola DRC, mi limito a segnalare che quello della DRC non equivale al prezzo di mercato dei vini, e che in annata quale il 2015 (diciamo normale, 70 mila bt prodotte) è stata verosimilmente intorno ai 40 milioni di euro (calcolando i prezzi a cui loro vendono). Non è poco, ci mancherebbe altro ... ma come ho scritto è molto meno di quello che potrebbero realizzare ...
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...non ho dati disponibili precisi ed attualizzati , ma solo la Banfi , secondo me , fattura tre / quattro volte all'incirca rispetto a DRC . Tenuto conto che i prezzi sorgente di DRC sono assai più bassi rispetto a quelli di mercato, oggetto di speculazione "abbastanza" feroce ...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkI bilanci di Banfi riportano 74 milioni nel 2015, 71 nel 2016 e 69 nel 2017, come vedi nella risposta a Paolo che ho appena scritto ho l'impressione (solo impressione, perché non ho dati certi) che DRC sia ben oltre. Il mio calcolo è quello che segue. Se sono esatti i dati che tu mi hai indicato, quei vini costa al pubblico da € 3.000 a € 15.000. Se sono esatti i dati riportati in molte riviste la produzione oscilla tra 80.000 e 110.000 bottiglie. Questo indicherebbe un fatturato al cliente finale siderale, se consideriamo anche qualche vecchia annata a prezzi più alti potenzialmente si potrebbe arrivare a sette o ottocento milioni. Sono numeri che mi fanno girare il capo, ma la domanda davvero importante è; quale è il ricarico della rete commerciale? Impossibile dirlo. Però ipotizzare un bilancio tre o quattro volte minore di quello di Banfi mi pare improbabile.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkLa produzione di Romanée-Conti Gran Cru credo proprio non superi le 6.000 bt in annate molto generose, stiamo parlando di 1,8 ha. Gli altri vini come ad esempio il St. Vivant costano parecchio meno, per cui forse la stima andrebbe un po' ribassata
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkMancando dati certi, siamo davvero in una nebbia. Quelle seimila bottiglie da sole potenzialmente generano un fatturato di svariate decine di milioni di Euro, ma effettivamente le altre 80.000 o 100.000 hanno prezzi unitari più bassi. Però sono (relativamente) tante bottiglie. Non ho palla di cristallo, e risalire al prezzo franco cantina partendo da quello praticato al pubblico è complesso; con il Brunello di un mio collega potrei farlo con una certa esattezza, ma con quei vini dai prezzi stellari? Chissà. I ricarichi sono certo alti, ma la moltiplicazione del prezzo al pubblico per i singoli vini (i dati produttivi sono noti) da numeri impressionanti.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkDirei che sia difficile pensare che dietro ad un aumento di prezzi così enorme e così veloce come quello di DRC negli ultimi due decenni non ci sia anche una sapiente operazione di marketing. Poi c'è anche tutto il resto, ed è tantissimo, ma performances così non nascono da sole. Lo stesso vale per i prezzi degli altri grandi vini francesi, chi li segue da poco tempo forse non si rende conto che cinquanta anni fa un Brunello di Biondi Santi costava più o meno come loro mentre oggi.... Non mi pare che nell'ultimo mezzo secolo la qualità dei francesi sia cresciuta così di più di noi, per cui direi che la spiegazione sta nel mito ma anche nel suo sapiente uso; e questo è marketing. Non è una parolaccia, se lo traduce in italiano suona "capacità di vendere" che è quello che chiunque cerca di avere. Non ho trovato traccia su internet del fatturato di DRC, ma presumendo una produzione che varia tra 80.000 e 110.000 bottiglie (i dati noti sulla somma dei suoi vari vini danno questi numeri) e prezzi franco cantina compatibili con quelli al pubblico (da € 3.000 per i tipi minori ad un massimo di € 15.000 per qualche tipo e qualche annata) verrebbe da pensare ad un fatturato dieci volte superiore a quello da lei indicato. Non so se DRC potrebbero realizzare di più, siamo nel regno del "se" per cui è difficile avere certezze. Invece i bilanci di alcuni primi gran gru di Bordeaux sono noti, e secondo logica dovrebbero essere ben inferiori a DRC; indicano spesso cifre non lontane da cento milioni di Euro. Credo che sia difficile negare che i francesi siano molto bravi a vendere, non le pare? Ma non vedo come questo possa suonare offensivo, o come possa suonare una sottovalutazione delle loro capacità in vigna e in cantina. Molto semplicemente, un vino è fatto di tre cose; una componente materiale, una immateriale e la capacità di ottenere il massimo per entrambe dal mercato. Chi ne padroneggia solo una non va lontano, chi le sa usare tutte e tre al meglio è bravo. Molti di loro sono molto bravi, ed i fatti lo dimostrano.
Rispondibt
circa 6 anni fa - Linkconfonde un po' le cose, secondo me. quando una bottiglia "si vende" a 15.000, DRC ne prende sempre 2500 o quelli che erano, il resto li fatturano gli intermediari (non è che pagano le royalties o retrocedono commissioni). secondo me i rapporti, visti i dati, sono meno esagerati. inoltre concordo su tutto ma si trascura sulla speculazione fatta - appunto - dagli intermediari. come le galleria pompano gli artisti di cui hanno comprato le opere, qui è successo uguale. l'investitore ha comprato a 3k e vuole rivendere a 10k e allora è lui stesso che paga e crea lo spin, il marketing (usando il mito, certo: ma il mito è uno strumento per il fine che è il guadagno sull'investimento). non ho la sfera o le serie storiche ma è andata così. vi ricordo i derivati - futures - sugli en primeur.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon credo di confondere. Tecnicamente un prodotto genera un fatturato per il produttore, ma anche un fatturato nell’ultimo passaggio. Il delta tra queste due cifre è il ricarico. Nel caso di DRC, se è esatto un prezzo Franco Cantina di € 2.500, il ricarico è folle; stiamo parlando del 600%. Mi pare un po’ improbabile, però non conosco gli usi commerciali di quel segmento per cui magari è possibile. E questo genera un paradosso; DRC fattura certo molto meno del Brunello, ma genera un fatturato nell’ultimo passaggio forse analogo. Nel caso del Brunello parliamo probabilmente di qualcosa tra 250 e 350 milioni (9 milioni di bottiglie per € 25/€45 a pezzo) mentre DRC ha si solo 6.000 bottiglie che probabilmente si vendo a circa €10/15.000, ma ha anche altre 70/90.000 che vengono acquistate tra € 1.800 e € 3.000. Per cui più o meno siamo lì. Ma stiamo giocando, questi sono numeri un po’ pazzi e i paradossi sono il sale della vita.
RispondiPaolo
circa 6 anni fa - LinkEgregio dottore, non c’è alcuna nebbia, la produzione della DRC vede nel 2015 n. 4831 bottiglie di ROMANEE conti (che il domaine vende a circa 2500 euro). Il resto delle bottiglie rosse le vende dai 200 circa ad arrivare al La Tache (ben lontano dal prezzo della RC). Questi sono numeri, quindi se quelli indicati sono i fatturati del Brunello temo sia un paragone sbagliato ... ribadisco, non confonda i prezzi di mercato con i prezzi di vendita del Domaine...
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkEsatto, alla fine il domaine non è che abbia alzato poi tanto i prezzi negli ultimi 10 anni, è la domanda sul mercato che è cresciuta ed il valore degli scambi. Sicuramente i prezzi alla fonte non sono certo decuplicati come invece è avvenuto sul mercato.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon so dove lei abbia trovato questi due dati, ma non ho motivo di dubitare di quanto scrive. Dunque il più prestigioso dei vini prodotti da DRC fattura circa 12 milioni, poi ci sono gli altri che (da quel che si legge su internet) dovrebbero rappresentare una parte molto, molto più larga della produzione. Anche se, ovviamente, con prezzi assai più bassi.. Visto che lei ha accesso ai dati, magari può darmi dei lumi. Questi punti fermi sono comunque molto interessanti. Primo, è la conferma che il forte incremento dei prezzi negli ultimi vent’anni c’é stato. Non così alto come può apparire dai prezzi al pubblico, ma comunque è superiore al doppio (e forse vicino al triplo) del prezzo a fine anni ‘90. Che è enormemente di più di quanto abbia fatto qualunque vino italiano di fascia alta nel pari periodo. Secondo, nel mercato del super lusso si spuntano prezzi fantastici, ma anche i ricarichi dei vari passaggi della rete commerciale sono altissimi. Che dire, quello è un intero mondo con sue regole e costumi diversi. Bravi ad aver portato in quel sistema un vino, ma questo mi riporta al mio tema originale. Che non è DRC, è il mito. Se Romanée Conti non fosse già stato un mito, non avrebbe mai potuto entrare in quel mondo. Probabilmente non avrebbe potuto fare incrementi di prezzo così significativi; questo è indimostrabile, però è probabile. Dunque come caso di scuola dell’importanza del mito nel vino è corretto.
Rispondibt
circa 6 anni fa - Linkesatto.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkI dati sulla produzione, se uno si fida, sono indicati per ogni vino su ogni annata recente sul sito ufficiale. In ogni caso, essendo un'appelation Romanée- Conti, i dati ufficiali sono facilmente ottenibili dal sito ufficiale della Regione. Comunque di vini che all'origine hanno triplicato se non parecchio di più il prezzo all'origine dal 90 ad oggi ce ne sono diversi anche in Italia.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon mi pare che sia proprio esattamente come lei dice. Sul sito ufficiale DRC io i dati di produzione li ho cercati ma non li ho trovati; riprovo, perché se lei lo dice magari da qualche parte ci saranno. Li ho trovati invece in vari altri siti, ma non ufficiali. Nel sito della Regione ho trovato i dati aggregati delle AOC, non quelli delle singole aziende: credo sia un problema di leggi sulla privacy, non penso li possano pubblicare. Invece i prezzi ai rivenditori non si trovano affatto nel sito di DRC, l'unico che ho me li dati è lei. Mancando i prezzi, ricavare un fatturato dai dati (non ufficiali) sulla produzione è del tutto induttivo; a quel punto, una stima vale l'altra. Quanto all'aumento dei prezzi dei vini italiani, dalla fine degli anni '90 (ho parlato infatti degli ultimi venti anni) quasi nessuna azienda di mia conoscenza ha raddoppiato i prezzi al pubblico dei vini di punta. Figuriamoci triplicarli o più. E i pochi che lo hanno fatto, che risultati di vendita hanno avuto? Anche questo è un punto dell'equazione; se raddoppio i prezzi ma le vendite mi crollano, che ho ottenuto? DRC non risulta aver avuto cali, da quel che si dice quanto produce è già tutto venduto nonostante gli aumenti.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkGuardi, sul sito della Regione comunicano tutti i dati produttivi delle varie AOC della Borgogna, inclusi i vari cru, tra cui Romanée-Conti, che appunto è monopole, quindi il dato coincide con la produzione effettiva dell'azienda visto che sono gli unici a farlo. Se non lo trova posso mandarLe questi dati via mail comunque. Sulle etichette italiane ce ne sono diverse, anche solo in Toscana. Tanto per fare un nome noto si può citare Masseto, che ha più che triplicato il prezzo di vendita dalla cantina da fine anni '90 ad oggi. Anche a Montalcino mi viene in mente un'etichetta, che ora non è più Brunello però. Di casi ce ne sono.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkChe ci sia qualche caso di prezzi così aumentati glielo ho confermato anche io, ma poi che è successo? Quella azienda di Montalcino a cui lei allude non la vedo mica più sugli scaffali. Il Masseto non so. Altri nomi con aumenti forti in Toscana non mi vengono in mente. Ho visto i dati degli AOC, non avevo pensato a guardare i cru. Però in quel modo non si vedono i volumi produttivi dei molti altri vini fatto da DRC, solo Romanée Conti che più o meno già si sa. E, soprattutto, non si vedono i prezzi.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkSì per quanto riguarda i dati il gioco funziona solo con Romanée-Conti che è monopole, per gli altri cru essendo condivisi con altri soggetti bisogna farsi bastare i dati aziendali, sui cui comunque non vedo motivo di dubitare. Su Case Basse è vero che in giro sugli scaffali non si trova più, ma i prezzi sono schizzati alle stelle a livello di scambi. Non è affatto infrequente trovarlo orami a più di 1.000 €. Quello però è un caso ancora più curioso di DRC vista la vicenda per certi versi. Sul discorso degli aumenti andrebbe controllato bene, ma tante delle etichette italiane più prezzate penso abbiano avuto aumenti importanti (Conterno, Quintarelli, ecc.). Sempre a Bolgheri sicuramente, oltre a Masseto, diversi vini sono aumentati del triplo o quasi.
RispondiStefano
circa 6 anni fa - LinkIl sito è semplice quasi come le etichette (che a me piacciono tantissimo, ma evidentemente sono condizionato!) http://m.romanee-conti.fr/grand-cru/montrachet.php per esempio questo è il Montrachet con i dati dal 1997 al 2011 (si sceglie GRANDS CRUS dal menu principale e poi si accede ad ognuno)
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkLe leggi sulla privacy (GDPR per le nazioni UE) non c'entrano una mazza trattando unicamente dati personali di persone fisiche. I dati personali sono quelli che rilevano l'identità e, ripeto, di sole persone fisiche. Il suo indirizzo IP è un dato tutelato dal GDPR. Per le imprese o gli enti della PA c'e la segretezza industriale (know how) o la confidenzialità delle informazioni (NDA) che sono altre discipline, quasi sempre regolamentate a livello contrattuale o per libera scelta del soggetto giuridico.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Sisto, la mia vecchissima laurea in legge non mi aiuta a districarmi tra i meandri delle nuove norme a tutela della persona e di certo sbaglio termini. Ma so che, per qualche forma di tutela, i dati sensibili (e le produzioni aziendali ovviamente lo sono) non sono mai resi pubblici dalle autorità di controllo. Non solo in Italia, credo più o meno ovunque. Per questo motivo su un sito di Enti Pubblici non troverai le produzioni mie o di chiunque altro. A meno che non dia il esplicitamente consenso, ovviamente.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkNo, i dati sensibili (per legge) sono: stato di salute, orientamento sessuale, casellario giudiziario, idee politiche, orientamenti filosofici, origine etnica. I dati personali sono: Nome e Cognome, codice fiscale, data di nascita, indirizzo, indirizzo IP, indirizzo mail (ma solo se identifica una persona fisica), fotografia, dati biometrici, firma autografa. E tutto questo è unicamente di persone fisiche. Dati economici, finanziari, strategici, produttivi, non sono né dati personali né dati sensibili, né per le persone fisiche né per quelle giuridiche. Non vi è alcuna legge che le normi. Anzi è vero il contrario: per le società molte informazioni devono essere pubbliche, a partire dal bilancio. Non parliamo di chi è quotato in borsa. Quindi tutto volontario o contrattuale o obbligatorio (come pubblicità). Lei forse vuole dire "informazioni riservate". Solo informazioni di know how cioè "informazioni segrete relative a proprietà intellettuale" sono tutelate per legge. Dati sulle vendite non sono né privacy né know how, Ad ogni modo questo è secondario, lei ha il merito di aver scritto un articolo con cognizione di causa e soprattutto che serve a qualcosa.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Sisto, vari Enti preposti al controllo in campo agro-alimentare hanno ogni possibile dato di tutte le aziende agricole italiane, ma tutti rendono pubblici solo i dati aggregati. Quelli delle singole aziende non sono mai pubblicati. A mia precisa domanda ogni Ente mi ha sempre detto che sono dati sensibili, e divulgarli è illegale. Se secondo lei non è così ne sono lieto, ma né Artea né gli Enti preposti al controllo dei vini condividono la sua opinione.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link... concludendo, sinceramente e personalmente ritengo oggi i vini di DRC in maniera fattuale , per bolla speculativa o altro, eccessivamente cari per un utilizzo da desco o quotidiano, per cui ho decisamente virato , dopo anni di fedele approvvigionamento, verso i vini del Domaine Leroy , che mi assicurano un deciso risparmio oltre ad una altrettanta soddisfazione e migliore articolazione dell'offerta... PS: scherzo .... ma ci stiamo incanalando verso una deriva ragionieristica molto lontano dal mio vivere la passione "vino" , decisamente più ludica e godereccia (come il mio stupidotto , ma storico nick name , sta a testimoniare...)
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkDi Leroy considero un grande vino anche solo il Bourgogne, neanche un village. Per dire a che livelli siamo!
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon si smette di giocare perché si diventa vecchi, di diventa vecchi perché si smette di giocare. Il vino è gioco, sennò non è. Peccato solo che con quelle bottiglie ormai possono giocare solo pochi fortunati, ma prosit! Buon pro gli faccia! Io godrò bevendone altre, e sarò felice per loro.
Rispondibt
circa 6 anni fa - Linknessuno ha letto thirsty dragon, vedo. ve lo consiglio anche se in inglese. DRC fa 5000 bottiglie e ti dicono che le beveva il re sole (il mito, appunto). fine della storia: arriva il cinese e ne vuole 100 perché può e vuole essere re sole. quanto devo pagare per esserlo? (status - mito) 2500? va bene, ne ho a sfare. stop. la globalizzazione ha unito domande prima impensabili a risorse finite. in questo discorso, ovviamente, che il vino sia anche buono (in termini intraviniani), diventa del tutto irrilevante. sì il mito è diventato status quando l'uomo ha deciso di farsi dio: mutando il proprio status. e per mutarlo servono "strumenti" dotati di mito (cioè storia e cultura "desiderabili"). è lungo il discorso e volevo buttarla lì (insieme al discorso finanziario di cui sopra). il mix dura e può durare tanto, ma poi no. in questo senso è anche una bolla (o rischia di esserlo per chi compra "per bere").
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkDevo scovare quale Brunello beveva Paoa Borgia, non è famoso come il Re Sole ma grazie alle serie TV sul Rinascimento.......
RispondiMarco Prato – il Fummelier®
circa 6 anni fa - LinkGrazie bt. 110 commenti, al momento e mio compreso (tutti bellissimi ed interessanti) ma nessuno ha riassunto come lei il mio pensiero. Mito, marketing, storytelling (come si deve dire, ormai, in italiano corrente), chiamatelo come volete, ma la sostanza dell’aver vini (ma anche cognac, whiskey, etc.) dai prezzi esosi in maniera così eclatante è descritta nel suo commento. Il valore di qualunque cosa è ormai determinato quasi esclusivamente da “quanto si è disposti a pagare”; e quanto lo si è per dimostrare di essere potenti.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon vorrei sembrare cinico, ma il valore di qualunque cosa è sempre stato determinato esclusivamente da quanto si è disposti a pagare. Vale anche per la libertà. Fuor di retorica, la invito a considerare il lato positivo di fenomeni come questo; l’esistenza di eccellenze sposta l’asticella più in alto, è inevitabile. Così tanti, nella speranza di eguagliarla, si sforzeranno al massimo di migliorarsi e i comuni mortali come noi troveranno molti ottimi vini a prezzi umani.
RispondiMarco Prato – il Fummelier®
circa 6 anni fa - LinkGentile Cinelli, non è quello di cui si parlava. Concordo con la sua risposta in toto, ma il cinismo non c’entra. E no, a mio modo di vedere - magari sbaglio - fino ad un certo periodo (e molte aziende/artigiani/industrie lo fanno ancora) si faceva il conto dei costi di materie prime, manodopera, ammortamenti vari, ricarico, poi si aggiungeva l’iva e si aveva il prezzo di vendita. Ormai non è più così, per tanti motivi (prodotti cinesi/asiatici o di zone a basso costo del lavoro, globalizzazione e libero scambio in libero mercato sono solo alcuni di essi) e, tornando in tema vino, oggi sorrido a sentire produttori che si inorgogliscono per il fatto di poter dire “ho espanso il mio mercato in Russia, Cina, Giappone...” etc. perché fino a ieri molti di essi, criticavano quelli che son magari 30 o più anni che lo fanno perché in Italia pretendevano di pagare vini eccellenti fatti con tutti i crismi al costo del “prosecchino”. Ora che il “prosecchino” può essere venduto a cifre assurde all’estero, e lo stesso accade con tutti i vini esportati, anche da noi i prezzi delle bevande (in generale, non solo vini) sono aumentati e continuano a farlo, seguendo mode, marketing...miti. Chiunque vuol massimizzare i profitti e come dice lei, a vedere il mercato come gira, è positivo per far si che tutti cerchino di migliorare...ma non dimentichi che il mondo è anche pieno di furbi che si accodano ai successi degli altri e guadagnare col minimo sforzo. Tornando al discorso dei vini da 3/5/15.000€ concordo semplicemente con quanto espresso con l’esempio del “re sole>mito>status>cinese ricco” . Poi mi piacerebbe sapere bevendo eccellenti vini di tutti i prezzi (fino ai DRC da 15.000€) rigorosamente alla cieca (anzi in doppio cieco e senza che nessuno dei degustatori possa lontanamente immaginare lo scarto di prezzo da 30€ a 15.000€ a bottiglia) e poi di dare un “prezzo” ai vini degustati...quante risate potremmo farci. In altro settore; da giovane chiesi ad un amico tabaccaio se davvero pipe da 1.500.000 di lire fossero davvero così migliori di quella da 150.000; opinabile, essendo una sua opinione, ma mi disse che fino a 350.000 lire si pagava la qualità, da quella cifra in poi...l’immateriale. Penso valga un po’ per tutte le categorie merceologiche, vini compresi. Ecco, io quell’immateriale lo considero la somma di: una buona storia + il saperla vendere + l’esclusività indotta (il mercato dei brillanti ne è un esempio sublime) + una qualità comunque elevata. Sicuramente ognuno di noi/voi può aggiungerne altre...lei Cinelli chiama questo “potere” nell’arrivare a vendere una boccia di vino 1.000-10.000 volte il suo valore di produzione, mito. Per me va bene. Io il problema non me lo pongo, poiché anche potendomelo permettere, non li spenderei mai 15.000€ (ma nemmeno 3000) per una bottiglia di vino...o per meglio dire per una etichetta; Kurniawan docet
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Marco Prato, temo che in nessun settore merceologico i prezzi si siano mai fatti come dice lei. Per due motivi. Uno tecnico; praticamente nessuno ha una contabilità analitica cosi precisa da calcolare materie prime, manodopera, ammortamenti vari e ricarico (aggiungerei ricerca, costi bancari, commerciali e promozionali, sennò manca tanta roba) su ogni singolo vino; una impresa titanica, provi se lo desidera ma glielo sconsiglio. Lei non ci crederà ma moltissimi viticoltori, proprio quelli semplici di cui parla lei, non hanno proprio una contabilità per cui è materialmente impossibile anche solo calcolare i costi medi; i conti li fanno coi saldi del conto corrente. La nostra realtà è questa, è inutile illudersi. Secondo, i prezzi li fa il mercato e non la volontà del produttore. Vorrei vendere il grano al prezzo che dice lei, ma da vent'anni me lo pagano meno e io che debbo fare? Stringo la cinghia e vado avanti. Anche alcuni dei miei vini sono venduti sotto costo, perché il mercato (ad esempio) più di tanto per un Chianti non vuol pagare. Altri invece li vendo molto sopra il costo. Le aziende agricole funzionano così, una volta il grano mi rendeva più del Brunello e oggi invece il Brunello mi permette di mantenere i cereali e tante altre attività minori. Una volta gli allevamenti, il caseificio e la norcineria aziendale rendevano, oggi... Domani chissà. Ma mica posso licenziare parte dei miei più di cinquanta dipendenti ad ogni cambio di prezzo di vendita dei prodotti. In un certo senso l'alto prezzo del Brunello mi permettere di adempiere alla "funzione sociale dell'impresa" fissata dalla Costituzione. Anche se la sua idea di prezzo = costi + giusto ricavo è molto idealisticamente bella, temo che non le permetterebbe di sopravvivere come imprenditore in tempi di cambiamenti continui e di concorrenza globale sui prezzi come questi.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkArticolo interessante e ben supportato. Però, io volo molto basso rispetto alle dotte digressioni: suggerisco cautela a parlare di "qualità" e tutte le storie che ci si attacca (terroir, storia, vigneto, modalità produttive, mito, ecc.) quando si conosce l'etichetta e quindi il prezzo. Proviamo ad assaggiare il vino in oggetto, insieme ad altri 50 pinot nero fermi vinificati in rosso (mettiamo dentro anche qualche Oltrepò Pavese a 15 €), alla cieca, e poi vediamo i risultati. Scommettiamo che il mito non arriva neppure al 5° posto?
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Sisto, ma come lo valuta il mito con l’assaggio alla cieca? Eppure il mito conta; quando lei regalerà una bottiglia di vino al dottore che l’ha operata e le ha salvato la vita, non cercherà il vino ottimo nell’assaggio alla cieca ma totalmente ignoto. Il suo scopo sarà di far capire che è grato, per cui sceglierà quella bottiglia che sa che lui saprà (scusi il giro di parole) che vale un sacco di soldi. Forse non mi crederà, ma le assicuro che la maggior parte dei vini di alto costo viene usato per ringraziare, blandire o corteggiare. Temo che davvero pochissime finiscano in assaggi alla cieca, l’abito nel vino fa il monaco, mi creda.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...fatto più volte ... se vuoi la rifacciamo , ma i Romanée Conti li metti tu . Io ho già dato abbondantemente ...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIn cantina non ne ho, ma da un vicino proprio di fronte ai Barbi ne ho viste centinaia. Magari ce ne presta qualcuna. Sennò, secondo me ci divertiamo di più a curiosare tra i regali dei vari colleghi degli anni '60 e '70,. C'è un monte di bottiglie di ogni cosa, mangari parecchie fanno schifo ma chissà..... Davanti al camino di Taverna ci si potrebbe far fare qualche cosuccia dal ricettario di mia bisnonna Elina, antico con antico dovrebbero star bene.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...organizza . Direi con i primi tepori primaverili ... max 14 , vedrai che il richiamo della proposta sarà irresistibile ...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkVinogodi, sarà fatto. Ho proprio voglia di una bella serata primaverile puramente ludica con vini buoni, fuoco e arrosto girato.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 6 anni fa - LinkPer la serata primaverile io ci sono eh :-)
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIo te ne avrei anche parlato, ma poi ho ricordato che tu ami tanto la birra per cui di fuoco nel camino, arrosto girato e vini vecchi con chiacchiere amene che te ne fai?
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkE no ! Allora mi prenoto anch'io! Ovvio con adeguata dotazione enoica!
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkCon tutto il rispetto credo che questa sia una stupidata sesquipedale! Che quei vini siano enormi in termini puramente qualitativi chi ha avuto la fortuna di metterci il naso e la bocca e' fuori discussione! Poi magari un pn di drc arriva dietro a un pn di leroy ma sempre di titani parliamo. La vedo duretta x un pn sudtirolese coperto o scoperto che sia
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkLittlewood, concordo con lei. La natura, l’esperienza e la professionalità danno a quei vini un vantaggio percettibile. Certo resta la domanda, che però non troverà risposta, di cosa potrebbe ottenere qualche azienda di solida tradizione delle due o tre zone italiane che hanno già identificato da tempo la loro vocazione se potesse godere per tre o quattro decenni di continuità gestionale, forte solidità economica e cento Euro a bottiglia da spendere per fare qualità assoluta. Ma questa è l’Italia, grande Paese che amo nonostante tutto, per cui non lo sapremo mai.
Rispondibt
circa 6 anni fa - Linke a conferma che questo sarà il post più letto e commentato del 2019 (battendo ogni record) ecco quale dato da un sito che non si può non conoscere. boom http://www.inumeridelvino.it/2019/01/la-classifica-dei-grandi-marchi-di-vino-nel-mondo-liv-ex-aggiornamento-2018.html
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkCon questo post il dott. Cinelli Colombini dimostra che oltre a saper produrre vini è un mattatore dialettico di alto livello! la potenzialità del post si intuiva da subito (ormai ho l'onore di averne scritto il primo commento) ed è interessante vederne lo sviluppo sui numerosi temi coinvolti: valori di mercato, miti e icone, marketing e modelli di business, paragoni tra produttori e paesi. Mi permetto un commento personale sulle dinamiche italiane, non relative alla produzione vitivinicola, ma del pubblico dei consumatori: in Italia il successo richiama più critiche che applausi. Ognuno di noi ha la sua ricetta per allenare la nazionale e per commentare e criticare i vari aspetti del mondo da grande saggio che commenta chi le cose le fa. Pure Marchionne era criticato, figuriamoci se nel mondo del vino non si debbano risparmiare i Gaja e gli Antinori. Mi dispiace ma non riesco a immaginarmi un DRC italiano che non sia soggetto a critiche costanti, parlando di botti piccole, lieviti selezionati, naturalità e non, antipatia del proprietario o arroganza dell'enologo superstar.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNoi italiani siamo dotati di una creatività unca, abbiamo il gusto e la capacità di costruire cose belle come nessun’altro. Però c’é un “lato oscuro” nella nostra natura, per costruire dobbiamo distruggere. Dato che parliamo di miti, Eros e Tanathos o Shiva e Vishnu. Per questo è difficile che in Italia nasca una DRC, quei miti li non sono mai creazioni singole; hanno bisogno della collaborazione (o almeno della benevola tolleranza) di tutto ciò che c’é di “grandi” nel vicinato. Ma c’è lo vedere in una DOCG italiana una Prima Donna che ne incorona un’altra?
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkVerissimo, il problema in Italia sta tutto in questa considerazione. Poco sopra è stato postato un link al liv-ex aggiornato. Basta sentire cosa si dice qui da noi, solo qui da noi, dei 10 vini italiani che sono in classifica e che sono quelli a tirare l'immagine del vino italiano nel segmento più alto per capirlo.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkRispondo alle osservazioni successive al mio intervento. Premessa: cosa sia "buono" nel mondo dei prodotti agronomici lo decidono solo 2 soggetti: il consumatore (le 500 milioni di bottiglie di Prosecco, ad esempio) oppure una panel test eseguito secondo la ISO 8586 e altre norme ISO correlate eseguito in un laboratorio accreditato ISO 17025 per queste tipologia di prove (analisi sensoriale). Tutto il resto sono opinioni, rispettabili. Quando un guru qualsiasi (o financo 3-4) emettono la loro sentenza, per i metodi scientifici sopra menzionati, non dichiarano nulla di più rilevante del parere dell'ultimo bevitore di vino (in questo caso). Lo so che è difficile accettarlo, ma il vino non è un software, una barra di ottone o una gettata di calcestruzzo per cui "buono" è affettivamente misurabile in termini di conformità/prestazione rispetto a specifiche o requisiti contrattuali o norme di prodotto. Io non so voi, ma io tutte le volte che ho partecipato a degustazioni di una determinata tipologia di vino alla cieca, saputi i risultati e scoperti i campioni, ho sempre pensato che le possibilità sono solo 3: 1) cosa è "buono" è aleatorio, in quanto soggettivo 2) come assaggiatore sono una schiappa 3) molti vini, troppi, di alto prezzo e di tanta fama, sono osannati al di à del livello del prodotto. Comunque, per la cronaca: 2 anni fa, città del nord, nota associazione, io e altri 40 circa assaggiatori, Valutazione alla cieca. Una ventina di pinot nero (vinificati in rosso, fermi). Primo in classifica: Oltrepò Pavese. (non per niente l'avevo citato come esempio). Secondo: Mendoza. Enormi Borgogna, enormi Alto Adige (dico enormi quando abbiamo viste le etichette, enormi soprattutto nel prezzo), ben distanziati. Fatto realmente accaduto. Secondo me son tutti bravi a dire che il Romanee Conti (e soci) sono buonissimi quando hanno l'etichetta ben in vista.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkScusi Sisto, ma se le centinaia di migliaia di bottiglie di Prosecco vendute sono il primo dei due indici del “buono”, è un problema. Se per verificare questa sua affermazione la applichiamo a contrariis, ne viene un risultato surreale; dato che le tante vendite provano la bontà, le poche vendite dimostrerebbero la poca bontà. Ergo, il Brunello venduto in quantità enormemente minori è cattivo. Difficile da sostenere. Quanto alle norme ISO, non è che siano un parametro particolarmente affidabile della qualità. Ricorda come nascono? Un Ente o una associazione di privati si accordano tra di loro per regolare su base volontaria una filiera non normata, e stabiliscono come si attuano i singoli passaggi della produzione. Se ciò che hanno deciso è coerente e non contra legem, l’organismo di controllo approva il protocollo e da quel momento chi (su base volontaria) vuole fruire del nome del prodotto legato a quel processo o del relativo marchio di garanzia si deve attenere a tutte quelle regole. Tutto su base volontaria, e tutto normato da alcuni secondo il loro arbitrio. Non mi pare una buona base per definire buono o cattivo. Il concetto di buono nel vino è molto sottile, aleatorio e legato a mille valutazioni soggettive. Non è normabile. Per me è buono il dolce, e magari per lei l’amaro; perché mai dovrei accettare il suo giudizio? Diverso è il discorso sul concetto di “tipico” o quello, che non è uguale, di aderente ad una specifica tipologia. Queste sono cose misurabili, se il colore di un certo DO deve essere più chiaro o più scuro può essere normato, così come può essere normato se ci deve essere un certo profumo. Caro Sisto, temo che lei si sia avventurato in un ginepraio.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkNo aspetti, sincronizziamoci un attimo. Lei saprà che qualità è rispondenza a requisiti. Il Prosecco è un vino di enorme qualità proprio perché soddisfa (in quantità enorme) requisiti. Quali siano questi requisiti li sappiamo (prezzo basso, altissima reperibilità, bel nome, bollicine, immediatezza, aroma di pera matura, dolcezza, etc. etc.). Qualità non è prestazione. La prestazione del Prosecco chi la stabilisce? Una volta che la commissione dell'ente di controllo ha rilasciato il certificato di conformità la decide o il consumatore (quindi il mercato) oppure, secondo un protocollo di parametri condivisi, un gruppo addestrato all'interno di determinate regole condivise e codificate. Cioè l'analisi sensoriale. Non so se un determinato Brunello venduto in quantità basse sia cattivo perché semplicemente io non so cosa sia "cattivo" nel mondo del vino (o "buono"). Lei lo sa? Io lo so solo quando me lo dice un consumatore ("mi piace", "non mi piace") oppure un panel test che ha condotto la valutazione(rispetto a parametri definiti) secondo i metodi di cui sopra che, da quanto mi consta, sono gli unici accettati dalla scienza (perché si basano su metodi statistici, assaggio alla cieca, etc. etc.). Lei ne conosce altri? Per essere pratici: quelli insegnati all'università, oggetto di ricerca, pubblicati sulle riviste scientifiche autorevoli, peer reviewed passed. Le norme ISO sull'analisi sensoriale, come lei saprà, normano: qualifica dei giudici ,e del panel leader modalità di esecuzione dei test (ovviamente alla cieca e con campioni ripetuti), sale di assaggio, modelli statistici per la determinazione degli indici di affidabilità del giudice e del panel, etc. Che centra la sua digressione con gli organismi di controllo che fanno un altro mestiere cioè rilasciano le idoneità rispetto ai disciplinari dei prodotti STG, IGP, DOP? Ma scusi, tagliamo la testa al toro: cosa significa, in termini misurabili, "vino buono"? Lei lo sa, ovviamente si, che una grande parte del vino consumato in Italia lo producono Cantine Riunite/Civ, Gruppo Italiano Vini, Caviro? Questo vino è buono o no? Chi lo decide? Con che sistema di misura o metodo di valutazione? Io mi sarò messo in un ginepraio ma lei, cortesemente, mi indica testi, fonti, metodi (diversi da quelli che io ho identificati) che definiscono cosa significhi "vino buono"?
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkMi scusi, quindi secondo Lei ciò che non è scientificamente misurabile non può essere soggetto ad alcun giudizio credibile? Quali sono i parametri con cui un dipinto, piuttosto che un film o un romanzo, viene giudicato un capolavoro ? Tutte le opere più belle, o in questo caso più buone, dell'umanità non sono misurabili scientificamente ed è questo uno dei motivi.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Sisto no, non ci siamo. La qualità è rispondenza a requisiti? No, questo non lo e manco lo credo. La qualità può essere molte cose, ad esempio genio trasposto in un oggetto tipo La Gioconda di Leonardo. Qualità non è prestazione? No, scusi, secondo lei cosa era il "cortigiani vil razza dannata" di Pavarotti a Firenze che mi fece quasi piangere? Un panel test di persone autorevoli che giudica la qualità? Eh no, non ci siamo. Lei ha completamente perso per strada il senso del gioco, del piacere e dell'ebbrezza che è tutto nel vino. Ma che vuole ridurre un bel bicchiere a parametri? Se anche fosse possibile, che palle! Per il suo bene, si diverta. È il consiglio spassionato e, mi permetta, affettuoso di un anziano che trova estremamente noioso tutto il suo questionare con grande seriosità su cose che non sono centrali nucleari.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkLo accetto volentieri. Ora è tutto più chiaro e mi sento confortato. Se la mette così (divertimento, emozione, ecc.) allora concordo. Io avevo inteso che invece stessimo parlando (non dal suo articolo-lo riconosco- ma per i nostri scambi successivi) dal punto di vista razionale/merceologico/metodologico. Comunque, glielo confermo, il suo fa parte di quel genere di post che io apprezzo enormemente.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkRisposta sui dati. Ma certo e chi dice il contrario?: perché i proprietari dei dati o gli enti che lei cita li hanno etichettati "riservati" e quindi per contratto (che è uno delle motivazioni che ho citato) non li pubblicano. Chi sottoscrive un NDA è tenuto a garantire la riservatezza (non la privacy che è altra materia e non centra una mazza). Sono dati riservati non sensibili. Se chi, dandole la risposta, usa il termine "sensibile" semplicemente utilizza un termine che, per la 196/03 prima ora per il GDPR, riguarda solo le tipologie di informazioni, di persone fisiche, che io elencate. Quindi usa un termine errato. https://it.wikipedia.org/wiki/Dati_sensibili
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkScusi caro Sisto, ma se il funzionario da la risposta esatta a una mia domanda perché mai dovrei discutere se un termine inesatto? La invito caldamente a farsi la barba con il caro, vecchio ma sempre valido rasoio di Occam; pluralitas non est ponenda sine necessitate.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkAh, ok, messa così prendo atto. Del resto con ministri o vice ministri che fanno ridere i polli relativamente alle materie di cui dovrebbero essere le fonti certe, ci sta che il tizio a cui lei si rivolge usi un linguaggio giuridicamente approssimativo.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkSig. Riccardo: Ma il vino o il formaggio o il salume o l'olio di oliva e gli altri prodotti agroalimentari non mi consta che siano opere d'arte. Se per lei lo sono (ed è legittimo) la dottrina codificata (accademia) e l'opinione prevalente (main stream) giudicano che le opere d'arte siano solamente, ad esempio, quelle da lei citate, non i prodotti agroalimentari. Pertanto, sì, essendo prodotti devono essere valutate attraverso dei parametri oggettivi, fisico chimici, ed edonici. Guardi che "misurabile", sotto determinate condizioni controllate (cioè i metodi di cui sopra) lo si utilizza anche per i descrittori edonici. Ma tutto questo non risponde alla domanda "cosa significa buono?", io non lo so di per certo ma, a volte, leggendo taluni interventi, appare come se fosse una definizione universalmente accettata. Cosa che non è.
RispondiRiccardo
circa 6 anni fa - LinkIo certo non ho mai scritto che i prodotti agroalimentari siano opere d'arte. Ciò che è ho scritto in sintesi è che per giudicare cibo o vino si utilizza un giudizio di natura estetico, che è il medesimo utilizzato per l'arte, la musica, il cinema, ecc.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...mah ... sarò contorto perchè la materia è contorta di suo ...si sta discutendo di lana caprina. Il giudizio su un vino è sempre soggettivo. Quindi nessun lasciapassare rispetto ad una oggettività almeno abbozzata? I criteri di giudizio su un vino non sono dati esclusivamente dal successo commerciale né relegati ad una massificazione del gusto che ne decreta il successo . Altrimenti il Prosecco sarebbe il vino "più buono" del mondo , con buona pace dei criteri di certificazione prima grossolanamente abbozzati (ma qui si aprirebbe un capitolo a parte e uccideremmo parecchi lettori , sono ispettore per le certificazioni e collaborai con TUV e CERMET all'origine delle certificazioni) .Né ci si può riferire ad un fantomatico rapporto qualità/prezzo . La qualità "oggettiva" non esiste? Certo , ma una ipotesi di presunzione lasciamola non al dubbio . Succede alle discipline sportive il cui risultato non è misurabile , dove la misurazione viene effettuata "soggettivamente" da chi è deputato alla conoscenza , perlomeno, dei criteri di giudizio , escludendo dal giudizio , quindi , chi non è a "conoscenza della disciplina" . Senza entrare negli arzigogoli lessicali ma sul concreto : discipline sportive come i tuffi, il nuoto sincronizzato, il pattinaggio e la ginnastica artistica e , perché no , la boxe (salvo non ci sia un KO) ecc , ecc , ecc hanno una gerarchia valutativa soggettiva che si tenta di oggettivizzare . Da chi? Da chi "sa " in termini di parametri solo apparentemente oggettivi , ma che non lo saranno mai. Così nel vino . Su Wine Advocat non scriverà mai mia sorella che preferisce la Malvasia dolce frizzante a La Tache (e che manco sa cos'è La Tache , come il 99,999% della popolazione bevente) . Il mito si crea anche per bocca di chi ha autorevolezza a dispensare giudizi, ecco perché la critica enologica può essere utilissima oppure pericolosissima . Senza entrare nella perversione ideologica da estremo pragmatismo della classificazione di Bordeaux che vede ai primi posti i vini che meglio si piazzavano , economicamente, sul mercato anglosassone perché "più si è disposti a pagare e più il vino , quasi automaticamente , è più buono" ...
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkOgni volta che mi citano come Vangelo il giudizio di auliche commissioni mi vengono in mente le due più famose della storia, formate da esperti universitari di livello mondiale; quelle che segarono senza appello il progetto di Cristoforo Colombo. Tecnicamente avevano perfettamente ragione, certo, ma a volte...... Quanto al giudizio su cosa è buono, anche lì è un casino. Se ci si basa sull’esperienza consolidata e magari cristallizzata in norme o ISO, ciò che è nuovo o diverso che fine fa? Per i palati raffinati ed educatissimi dei Master of Wine per lungo tempo il Brunello è stato valutato pochissimo, ma semplicemente perché il loro concetto di bontà era tarato su Cabernet, Merlot e Pinot nero. Nulla (o quasi) è oggettivo nel gusto, tutto è legato a parametri che vengono stabiliti arbitrariamente per cui quando li si vuol rendere scientifici si inciampa. E questo lascia praterie al mito, e anche al credo quia absurdum. Il vino è un incantevole mondo di paradossi, ma forse è così attraente proprio perché è un giardino che al posto dei bossi ha siepi di ossimori.
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkLei però fa un paragone che non regge. Mi segua. La valutazione espressa dal giudice di nuoto "la massa" non lo discute, è verbo. Se io e lei, alla medesima massa gli dicessimo che il Romanee Conti è un vino buono, ci ridono dietro. Perché questi (della massa) non fanno nuoto sincronizzato epperò bevono vino. Idem se invece del nuoto prendessimo una applet in Java e il giudizio espresso dal professore ordinario di ingegneria del software. Se prendessimo il professore ordinario di enologia, la massa gli risponderebbe "ma il mio Prosecco doc a 3,40 € la bottiglia è migliore. Punto".
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkAllora ho frainteso. Non lei ma taluni, a volte, indugiano sul termine "opera d'arte" per descrivere alimenti, al che rabbrividisco.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...pensa te che io rabbrividisco quando si parla di "opere d'arte" di certe opere d'arte ...
RispondiSisto
circa 6 anni fa - LinkMi rendo conto di avere a che fare con persone di altissimo livello e quindi ne approfitto. Vi prego: ditemi, apertis verbis (traduco: senza supercazzole), la definizione di "vino buono". Io la mia l'ho detta sopra (1-"il mi piace" del consumatore; 2-l'esito finale di un test di analisi sensoriale omologato). Oppure, il che può essere, la definizione è ontologicamente inesistente. Altra possibilità: potendocene essere N (ove N è ciascun fruitore) allora è esistente ma relativa. Il che mi andrebbe bene lo stesso. Non penserete mica che il buono lo decidano gli esperti/appassionati/illuminati (sto parlando di "noi"...)? O sono l'unico che, tutte le volte che sente o legge "vino buono" mi chiedo "ma cosa significa?", "cosa intende?", "rispetto a cosa?""dove l'ha letta la definizione?"
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Sisto, capusvo che il dialogo tra sordi è una caratteristica dei tempi, ma lei pretende che usiamo le sue griglie di pensiero per definire qualcosa che gli è stato ripetutamente detto che non può essere definito seguendole. Lei è liberissimo di cercare definizioni oggettive di un fenomeno soggettivo, le auguro di riuscirci ma lo ritengo del tutto improbabile.
Rispondivinogodi
circa 6 anni fa - Link...perdonami ... ma considerandoti pure tu una "persona di altissimo livello , giocare con le parole solo per un esercizio dialettico sterile si rischia la perdita di tempo più che uno scambio di opinioni . Lavoro nel settore alimentare , ho la direzione R&D e il coordinamento di tutte le attività di Ricerca di un grosso gruppo di aziende. Mi presento non per fare outing ma perché mi cimento con queste tematiche quotidianamente e professionalmente . Panel d'assaggio interni secondo le norme ISO strutturati per anni : falliti per inutile perdita di tempo e risultati scadenti . Le Norme di riferimento non tengono conto del valore dei singoli , errore madornale: ci si nasconde dietro riferimenti normativi e generalisti dove la capacità personale discriminante (data da diversi fattori) non è opportunamente adeguata e considerata . Tre palati allenati (io , la direttrice Marketing e il Responsabile Qualità ) e abbiamo acquistato tempo e denaro nella validazione dei prodotti . Siamo , per esperienza (o capacità) , considerati autorevoli per questo genere di attività . Non voglio schierarmi dalla parte di una critica un po' bolsa e autoreferenziale , ma dall'esperienze di panel (...commissioni d'assaggio) di una nota guida al giudizio meno allargato ma più autorevole di un'altra , il salto è stato abissale . Quindi ribadendo che la Qualità Oggettiva non esiste , può esistere una parametrizzazione e scalarità di qualità in relazione a riferimenti condivisi . Non ci sto a banalizzare il tutto con un semplice "de gustibus" , che non è una verità ma una dichiarazione d'impotenza...
RispondiGiuseppe
circa 6 anni fa - LinkArticolo interessante e ancor piu` lo sono i commenti. Premesso che sono pienamente d'accordo che, oltre una certa cifra, il prezzo di una bottiglia di vino ha una giustificazione che trascende il razionale, provo ad aggiungere un paio di considerazioni 1. L'autore riporta che circa quarant'anni fa il prezzo delle bottiglie di DRC non era molto distante dal suo e adesso sono almeno 30 volte di piu`. Sarebbe molto interessante, sebbene immagino molto difficile, mettere su un grafico l'evoluzione dei due prezzi per cercare di dare qualche spiegazione. Ad esempio per capire se il prezzo del Borgogna e` andato a strappi (come immagino) e per capire chi (o che cosa) possa aver generato/giustificato il gradino (punteggio? asta? uscita di articolo di qualche "guru", apertura di un nuovo mercato estero etc... etc...) 2. ricordo di aver letto di una degustazione tenuta da Fabio Rizzari nel lontano 2002 insieme ad una maestra profumiera italiana, qua l'articolo: Tutta questione di naso: alla scoperta dei profumi del vino https://youmanist.it/categories/foodwine/scoperta-profumi-vino ripreso anche da questo bel pezzo di Intravino: I segreti della memoria olfattiva spiegati da Laura Tonatto http://www.intravino.com/primo-piano/i-segreti-della-memoria-olfattiva-spiegati-da-laura-tonatto/ Ebbene l'articolo si chiude cosi`: . . . L’incontro si chiuse con una certezza: i vini - già allora - più celebrati e modaioli del mondo, i Borgogna, sembrano proprio avere una marcia aromatica in più rispetto alla concorrenza. Su un profumatissimo Chambolle-Musigny, Laura annotò: «Le note di testa sono di fresia purissima, poi violetta di Parma, gelsomino, petalo di rosa senza sfumature mielate. In modo davvero limpidissimo, le note di cuore sono di iris fiorentino, cipriato, molto fine, e poi più fruttate: ciliegia sotto spirito, mora, fragolina di bosco. Il fondo è di cipria, puro, molto stabile. Mi colpisce molto. Per fare un paragone, gli altri vini sono abiti firmati, questo è un abito di sartoria». . . . Forse, almeno da un punto di vista olfattivo, i Borgogna (in generale), hanno una marcia in piu`? Ovvero almeno una giustificazione oggettiva (sebbene parziale) esiste? Lo chiedo da quasi profano, ho assaggiato pochissima Borgogna e, quasi tutto, di entry level. Saluti a tutti Giuseppe
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkNon ho detto che le bottiglie di DRC non era molto distante dal mio, ho riportato un commento di Burton Anderson (uno dei più importanti giornalisti europei del vino) che scrisse che la prima volta che andò dai Biondi Santi rimase stupito del fatto che le sue bottiglie di Brunello costavano addirittura di più dei più famosi vini francesi. Non citò quali. All'epoca il mio Brunello costava circa la metà di Biondi Santi. Adesso il prezzo al cliente finale dei miei Brunelli è tra € 30 ed € 50, quello di Romanée Conti mi dicono tra € 12.000 ed € 15.000. Quanto al secondo punto, Fabio Rizzari è un amico ed un grande esperto di Borgogna. Nella passione dell'evento può avere scritto che i Borgogna che aveva appena assaggiato hanno una marcia in più rispetto al resto del mondo, ma nella passione di ogni evento la penna può scappare di mano. Accade, la passione gioca strani scherzi. O magari ci crede ancora, chissà. Personalmente trovo molti di quei vini ottimi, ma appartenenti al mondo terreno. Tanto per intenderci chi li beve è fortunato, ma non è il liquido che bevono gli angeli.
RispondiPaolo
circa 6 anni fa - LinkNel sottoscrivere quanto ha scritto Vinogodi, visto che continuano le repliche di segno diverso, provo a riassumere diversamente la questione. Ci sono persone che, avendo bevuto tanto e avendo quindi sperimentato direttamente le cose, soggettivamente, possono affermare che ci sono vini che essi amano più di altri, ergo ritengono migliori. Succede in tutte le cose, più si impara e ci si specializza più si è in grado di capire e si cerca sempre più l’eccellenza e l’emozione. Nel vino, di regola, ma ci sono ovviamente eccezioni, per questi appassionati dopo aver provato di tutto e di più l’ultima tappa è proprio la Borgogna, è un fenomeno notorio, si tratta infatti di vini che affascinano per la loro eleganza e per il loro essere così diversi nelle sfumature (ribadisco che non sempre è così, ci sono tra l’altro anche regioni che suscitano grandissimo interesse, penso a certi vini del Jura o ai grandi Riesling tedeschi, ma diciamo che dovendo fare un nome di una regione, la Borgogna di regola vincerebbe....). Tutti quelli che hanno scritto nei vari post che alla cieca i grandi Borgogna perderebbero in confronto con i Pinot dell’oltrepo’ Pavese dimostrano o non sufficiente esperienza oppure di essere persone che, nonostante abbiano bevuto tanto da poter in teoria capire le differenze tra i vari vini, non hanno un gusto ed una sensibilità sufficientemente sviluppati per cogliere certe sfumature. È normale che accada, non è una colpa, ognuno di noi ha delle doti e dei sensi poi o meno sviluppati, io non ho gli strumenti, anzitutto culturali, per giudicare un quadro della scuola impressionista, ma mi guardo bene dal dire che le ‘gerarchie’ (anche economiche) nel mondo dell’arte sono una finzione (e che certi prezzi milionari sono una follia) frutto della fama già raggiunta, e che di certo se ad esperti/critici d’arte fosse esibito un Monet accanto ad uno sconosciuto senza alcun valore artistico la maggior parte preferirebbero l’opera sconosciuta... Se poi mi volete dire che anche nell’arte, nella letteratura, nel teatro, tutto è relativo perché dipende dal gusto personale, togliendo ogni valore all’esperienza personale, alla cultura ed al gusto, allora a costoro consiglio i vini industriali in tetra pak, risparmieranno tempo e denaro... noi continueremo a tenerci strette le emozioni che i nostri amati Borgogna continuano a regalarci.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkFinalmente un intervento che mi sento di condividere in pieno! Grazie Paolo. Le emozioni sono misurabili con norme ISO? Sono quantificabili con metodi scientificamente affidabili? Temo di no, E qui si ritorna al punto da cui ero partito: il vino è un cibo, certo, ma è anche qualcos’altro. Ed è proprio questo qualcos’altro che lo rende unico, Ma posso spiegare a Dawkins o a Oddifreddi l’estasi del divino? No, e manco ha senso provarci.
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkIl fatto che si riconosca che Borgogna sia il punto di arrivo definitivo della passione e della ricerca del vino rosso per me é uno stereotipo da cui non riusciamo a uscire e che ci condiziona nel pensiero, nell'azione e nel giudizio. Parliamo di vini immensi ma non possiamo sempre partire dal pregiudizio che facciano parte di un diverso universo.
RispondiLittlewood
circa 6 anni fa - LinkX me almeno la borgogna nn sara' mai un punto d' arrivo. A me piacciono i vini che mi danno un' emozione perche' e' per questo che viaggio assaggio lavoro. Il giorno che uno mi dira' che ho fatto un vino che gli ha creato un' emozione sara' un gran giorno! Se devo poi dire una zona del cuore questa e' il rodano..
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkOgni strada deve avere un punto d’arrivo, ma i punti d’arrivo sono un fatto culturale, non fisico. Se proprio vogliamo potremmo forse legarli a parametri, ma anche i parametri sono soggettivi e legati a convinzioni. È tutto nella nostra testa. Oggi il mito della Borgogna e del Pinot nero sono dominanti, domani magari sarà il Canaiolo e Greve in Chianti. Chissà. Scusate se sono di parte, ma spero proprio che il prossimo mito dominante sia un Sangiovese, lungamente affinato in legno, etc etc.....
RispondiClaudio Ferrucci
circa 6 anni fa - LinkDa consumatore scoppio di gioia nel poter ancora acquistare un ottimo Brunello ad una cifra ragionevole. E spero di poterlo fare per tanti e tanti anni ancora. Sulla presunta superiorità della Borgogna non saprei, sono un principiante alle prime armi e del DRC non conosco neanche l'odore del tappo ma leggere certe valutazioni francamente un po' mi disgusta. E poi faccio fatica a credere che la migliore bottiglia di DRC sia 30 volte superiore ad una buona annata di un Biondi-Santi "qualsiasi". Scusate l'intervento "terra-terra" e troppo poco "professionale".
RispondiGigi
circa 6 anni fa - LinkDa parte mia sposo in pieno la "poca professionalità" sia nella forma che nella sostanza, e faccio già parte del club di gioiosa mitizzazione del Sangiovese di cui sopra, di cui serbo gelosamente cimeli in cantina (insieme a tanti altri oggetti di simile culto italiani e stranieri), senza soffrire di complessi di inferiorità di fronte a niente e nessuno e senza dover necessariamente sovrintendere il momento del consumo in abito talare.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkIl mondo dorato che può acquistare tutto a qualunque prezzo è sempre esistito, e sempre esisterà. Ma, inevitabilmente, quel tipo di consumo è composto molto più di mito che di realtà tangibile. Il mito esiste, è bene per tutti che esista, ma si gode alla grande anche con miti più “tascabili” e a portata di portafogli umani. Magari con un bell’arrosto girato di cacciagione, un fuoco nel camino e un bel gruppo di amici
RispondiSisto
circa 6 anni fa - Linkcito "Tutti quelli che hanno scritto nei vari post che alla cieca i grandi Borgogna perderebbero in confronto con i Pinot dell’oltrepo’ Pavese dimostrano o non sufficiente esperienza oppure di essere persone che, nonostante abbiano bevuto tanto da poter in teoria capire le differenze tra i vari vini, non hanno un gusto ed una sensibilità sufficientemente sviluppati per cogliere certe sfumature". Uno racconta un fatto e si ritrova un'opinione (tra le tante) chiaramente discutibile in quanto, quanto meno, pittosto arrogante e non supportata da elementi se non il gusto personale quindi aleatori: si sa chi fossero gli assaggiatori? No. Si sa che vini fossero? No. Si sa che produttori/annate? No. Ma si emette, ugualmente, la sentenza, basata unicamente su una propria visione/percezione. Boh, quando si parla di autoreferenzialità...Tutti gli altri potranno dire, a ragion veduta, la stessa cosa, a parte inversa, di qualsiasi altro vino/situazione: quindi chi avrà ragione? Nessuno, chiaramente, quindi si ricomincerà palla al centro. Per quanto riguarda l'esortazione finale il commento invece è che non c'è problema dato che, come osservato da altri sopra, si sta parlando di un vino (questo e quelli della zona di provenienza) che non beve praticamente nessuno. Un conto sono le rispettabili opinioni/preferenze, un altro sono i numeri: questi non mentono mai. Io, umilmente, osservo a latere che se non si riesce a parlare/comunicare (con obiettività) dei vini non miti ma conosciuti perché consumati dal grosso del mercato, si rimane inevitabilmente parziali, ma questa è la mia opinione (non un fatto). Infine: di aneddoti di clamorose smentite di "miti" (nel prezzo e nell'etichetta) quando assaggiati alla cieca financo da enormi guru ce n'è sono un sacco, basta cercarli.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkVede Sisto, le degustazioni alla cieca che lei riferisce con tanta insistenza, sono fatti? Mah. Si basano su parametri soggettivi, per cui sono opinioni. Rispettabili, ma pur sempre opinioni. C’é poco da fare, sia lei che chi le si oppone siete portatori di certezze apodittiche e inguaribilmente soggettive: lei ha fede negli assaggi alla cieca basati su parametri soggettivi, gli altri hanno fede nella loro esperienza soggettiva. Se vogliamo parlare di fatti e non di opinioni, ce n’é uno ed è indiscutibile: i vini da mito costano tantissimo, e il mercato gli da ragione perché si vendono tutti. È anche un fatto che non accade la stessa cosa a tutti i vini ottimi, anche se esaltati da ogni assaggio alla cieca e anche se enormemente meno cari. Che conclusioni trarre da questi fatti e opinioni? Che il vino è davvero divino, perché riesce a darci piacere in tantissimi modi diversi compreso l’accapigliarci in maniera divertente. In tempi in cui la gente si odia per ogni possibile pretesto, non è mica poco.
RispondiAntonio Ferru
circa 6 anni fa - LinkQualcuno un tempo. Fossero i Medici o i Gonzaga non importa, ha deciso che le opere di Leonardo erano ineguagliabili. In quel momento è stato stabilito un "prezzo" congruo che devi essere in grado di pagare. Per qualsiasi vino non è stato così, ma per alcuni sì. Stabilito ciò lo compri con quel prezzo. Nello stesso momento è nato un mito, e i miti si sa, non li discute quasi mai nessuno, al massimo non si citano. Anche se fosse il peggior pinot nero a disposizione in uno scaffale, chi se lo può permettere (specie se in compagnia di altri suoi pari) comprerà quello. Spesso, per stabilire una propria posizione economica sociale diversa, anche chi non se lo potrebbe permettere compra il mito, ed entra così in una stanza migliore (per lui), in un consesso più gradito e meglio reputato. Però, però.....se è più visibile di altri in quello scaffale ci sono più motivi, e la qualità intrinseca e trasmessa è uno di questi. Come dire che un maglione fatto bene che costa 200 volte più di uno da mercatino di borgata non sarà tessuto con crine d'oro ma una discreta differenza con quegli altri ci sarà. Ed è anche vero che nel Mondo è pieno di prodotti paragonabili e migliori del Romanee, ma di sicuro hanno peccato nel trasmettere le loro qualità. Magari in tutte quelle eccetto la bontà... Diamo troppa importanza al prodotto vino. La sua qualità è una discriminante all'atto dell'acquisto solo se è nella fascia ordinaria di quelli che non suscitano critiche "importanti". Al di là di un certo prezzo e di una certa nomea è un simbolo la cui commestibilità o gradevolezza a tavola è insignificante. Diciamo che l'articolo l'ho letto con interesse e sono pienamente d'accordo........ a metà. l'articolo
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkCaro Antonio, temo che le dinamiche del valore (sia dei quadri di Leonardo) che dei vini siano un po’ più complesse. E molto meno definitive. Ad esempio Leonardo ha avuto già in vita un riconoscimento di valore straordinario, ma Van Gogh (ad esempio) no. Altri valevano follie in vita, e poi no. Il mondo delle mode, ma anche quello dei miti (sia pure in misura minore) è aleatorio. La invito a studiare il famoso caso dei tulipani in Olanda nel ‘600. Quanto al vino, non direi proprio che nessun vitigno sia di per sé un mito. Nemmeno il Pinot Nero, assolutamente no. Alcuni marchi o Denominazioni lo sono, e in genere per ottimi motivi anche qualitativi. Ma soprattutto storici, e/o di mito. Comunque escludo che il mondo sia pieno di vini altrettanto buoni di un Romanée Conti, se non mi crede provi e vedrà.
RispondiAntonio
circa 6 anni fa - LinkGrazie per l'interazione. Tuttavia devo aver mancato in capacità esplicativa poiché molte delle sue osservazioni erano/sono da me condivise. Su altre resto della mia idea. Sono abbastanza vecchio (non tanto) da avere certezze non scalfibili ( giuste o sbagliate). Come per lei mi pare... Chi le ha detto che non sono a conoscenza della bolla dei tulipani...? Di certo non paragono un tulipano a una bottiglia di Romanée Conti. Saluti
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 6 anni fa - LinkVede quanto è strano il mondo? Io invece sono troppo vecchio per avere certezze non scalfibili. E personalmente trovo invece perfettamente aderente la situazione attuale dei prezzi di Romanée Conti a quella della bolla speculativa sui tulipani che, come Romanée Conti, non perderanno un alto valore ma (essendo oggetto di bolla) prima o poi torneranno a un prezzo alto ma non così folle. Visto che già conosce la storia dei tulipani, sul valore reale delle cose le suggerisco un’altro approccio interessante; da animali a Dei, di Noah Yuval Harari. Magari ha già letto anche questo, nel qual caso le faccio le mie congratulazioni, ma se non l’ha fatto forse scalfirà qualcuna delle sue certezze. Cosa che credo faccia bene a chiunque, di certezze si muore. Soprattutto oggi.
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