Scoprire se il prosecco col fondo sa davvero invecchiare. Magari con nove annate del prosecco di Giovanni Frozza
di Giovanni CorazzolQualche tempo fa un giornalista eno-gastronomico, di ritorno da un giro di presentazione della sua ultima, prescindibile fatica, mi scrive dal suo blackberry: Sono reduce da tre giorni in Veneto e mi chiedo perché o meglio come fai? A viverci intende, sapendomi colà residente.
La prima istintiva reazione avrebbe potuto condurmi a Rovereto (Tn), innanzi al giudice Consuelo Pasquali, per rispondere d’incontinenza espressiva; ma dato che questi giornalisti eno-gastronomici hanno il senso dell’umorismo di un cervo maschio delle Ebridi in calore e cinquemila franchi non sono una barzelletta, ho glissato rifugiandomi in un ermetico sarcasmo.
Certo Veneto, va pur detto, è un ninìn deprimentino. Certi cieli plumbei che la Ruhr manco nei settanta, certe città-viadotto estese come una pianura. Certi veneti, va pur detto, sono anch’essi un ninìn deprimentini. Assomigliano all’imitazione dell’imitazione del veneto ciucco e ignorante a cui s’è sovrapposta la cattiveria popolina mischiata al disprezzo; il disprezzo verso gli stranieri, verso gli altri, verso la vita vissuta diversamente; un disprezzo così grottesco e sguaiato da diventare ridicolo. Certo Veneto e certi veneti – ça va sans dire – sono ben altro. Signori col cappello e le scarpe grosse, sapienze minute e lunghe, spesso pudiche, spesso giuste, figlie di fatica vera e ostinazione bestiale; sembrano gli inglesi di Dunkerque incapaci di rendersi conto d’aver perso la guerra, e quindi di soccombere. Sono gli uomini e i paesaggi che nutrono le storie di Meneghello, di Rigoni-Stern e di Zanzotto; i piccoli giganteschi maestri, i custodi minimi di quel retaggio che, con Marco Paolini, Carlo Mazzacurati ha registrato prima che fosse troppo tardi, per sé e per noi.
Colbertaldo di Vidor, provincia di Treviso, nella DOCG Conegliano-Valdobbiadene. Giovanni Frozza ha magrezza da ciclista, un piccolo anello da uomo su un dito troppo grosso, la catenina protettiva al collo, occhi arrossati e celesti, capelli neri saponati, pelle conciata da aria, acqua e sole. E’ una figura scappata da una foto in bianco e nero, dal cassetto di una memoria familiare, da una storia di fatica e di terra. Accoglie con sorriso buono, dietro cui si possono leggere timidezza e modestia, ma poca incertezza. Lavora sette ettari benedetti che conferiscono ai vini una nitida impronta salina. Frozza è il nome che si fa per rispondere alla domanda centralista, statalista e beffarda su chi sia un buon produttore di prosecco. Usa lieviti selezionati e se deve fare dei trattamenti li fa, senza eccedere che non conviene. Produce duecentomila bottiglie di spumante (Val Mesdì, Col dell’Orso Extra Dry e Rive di Colbertaldo Brut), un sorprendente prosecco tranquillo (dei Opereta) e infine tre-quattromila bottiglie di prosecco col fondo: il prosecco rifermentato in bottiglia come veniva fatto prima del boom dell’autoclave degli anni ottanta.
Frozza non etichetta il suo prosecco col fondo, non ne vale la pena, troppo poche le bottiglie (non ha distribuzione); per produrlo non usa le migliori uve e dichiara di non intervenire con scorciatoie per sollecitare la rifermentazione: sistemi come aggiunte di zucchero o l’uso di stufe per alzare le temperature e favorire la rifermentazione. Di questo tipo di vino tiene da parte qualche bottiglia; con alcune di queste facciamo una bella verticale di nove annate: dal 2005 al 2013. Un esperimento alla scoperta della reale capacità di invecchiamento del prosecco col fondo.
Dei vini assaggiati colpisce innanzitutto l’integrità: tutte le annate, pur con delle oscillazioni, sono di un vino vivo a cui solo la carbonica, dopo un po’ di tempo nel bicchiere, pare cominciare a far difetto. Il 2005 soffre di un tappo imperfetto e di una conseguente leggera ossidazione, ma sorprende già alla vista con riflessi ancora verdognoli e al naso per complessità aromatica; esprime sentori di miele, fieno, erbe medicinali e mela cotogna. Il 2006 invece è perfettamente in equilibrio, figlio di un’annata calda e asciutta; rispetto al 2005 è più sfaccettato sia al naso – a cui si aggiungono salvia, salgemma ed una nota agrumata più spinta – che in bocca, con un perlage bello reattivo, bella cremosità ed un citrino pronunciato. Il 2007 pare un gradino inferiore al 2006 che si confermerà col 2008 l’assaggio più convincente, pur attestandosi sul medesimo standard con un ingresso in bocca graduale e fresco. Il 2008 si rivela meno irruente del 2006, con bollicine meno fini e profumi meno marcati, ma regalando in bocca una complessità ulteriore con sentori di albicocca e mela disidratata. Il 2008 è l’annata da cui si cominciano a riconoscere più chiaramente le caratteristiche del prosecco, mentre nelle annate precedenti si sarebbe potuto pensare ad altri vitigni (ad esempio un pinot bianco) e ad altre zone. Dal 2009 – annata secca – si comincia a riconoscere il frutto, la freschezza e una sapidità più marcata. Il 2010 – come il 2011 vendemmia precoce – si conferma una delle migliori annate, con una prospettiva di invecchiamento forse superiore alle altre: grande freschezza, in bocca è cremoso, agrumato e slanciato. 2012 e 2013 (che ha registrato produzione inferiore de 20% circa) infine si attestano sui medesimi standard con una preferenza verso il 2013 .
Quel che resta a fine degustazione è l’impressione netta che il prosecco col fondo sia in effetti una tipologia di vino con una capacità d’invecchiamento reale, non pubblicizzata per conferire una patina di nobiltà ad uno spumante inferiore. Un vino che si può pensare di bere subito, ma che si può tenere in cantina senza grossi timori.
11 Commenti
Daniele
circa 11 anni fa - Link[leggermente OT] Giovanni, puoi informare lo sbadato eno-gastro sta cippa che Il Veneto è la regione d'Italia col maggior numero di turisti. Facts please. Punto.
RispondiAndrea Gori
circa 11 anni fa - Linkmi pare ben strano...che dati hai Daniele? Io pensavo che ci fossero Lazio Lombardia e Toscana davanti...
RispondiPaolo
circa 11 anni fa - LinkOps, Andrea, temo che almeno due delle tre regioni indicate siano errate ad una prima occhiata. Cmq i dati di Daniele si riferiscono ai dati ISTAT di arrivi e presenze, direi sempre a occhio. E non mi sembra che la sua osservazione sia errata. Mi perdoni se i miei ricordi di economia del settore turistico sono un po' datati, e non ti sparo qui la tabelal istat di riferimento?
RispondiAndrea Gori
circa 11 anni fa - Linkoh invece pare vero... http://corrieredelveneto.corriere.it/belluno/notizie/cronaca/2013/14-febbraio-2013/turismo-veneto-prima-regionepiu-62-milioni-presenze-2113997400763.shtml dannati tedeschi!!!
RispondiPaolo
circa 11 anni fa - LinkTranquillo, Andrea. E' un equivoco in cui cadono in molti se non bazzicano i dati del settore. Gli è che le regioni che hai citato hanno sicuramente molto più spazio, anche in termini turistici, nel sistema dei media. Ma i "dannati tedeschi" (io uso il termine "i nostri eterni nemici") colonizzano una striscia di spiagge non inferiore alla riviera romagnola, più un centinaio di km di lago di garda (che loro vanno pazzi per i laghi) e ogni km di pista ciclabile della operosa campagna del nordest. Risultato: vincono loro, e Daniele ha ragione :)
RispondiIl chiaro
circa 11 anni fa - LinkNella tua analisi non trascurerei l'apporto di Venezia
RispondiLuca Ferraro
circa 11 anni fa - LinkChe ci dici della spettacolare variabilità che questo vino ha nel bicchiere?
RispondiGiovanni Corazzol
circa 11 anni fa - Linksicuramente vini che si evolvevano pur mantenendo una certa riconsocibilità. Le annate migliori si sono mantenute tali nel corso della degustazione.
RispondiGiampi
circa 11 anni fa - Link:-)
RispondiPicenin
circa 11 anni fa - LinkSia benedetto Giovanni Frozza con la sua famiglia e la sua cantina e i suoi vigneti. Dovrebbero essere ambasciatori nel mondo di uno stile del fare il vino che ha radici profonde come le viti sul meraviglioso Col dell'Orso. Che il Col Fondo sappia invecchiare bene come neanche Sofia Loren sa fare è cosa arcinota ed arcidimostrata.
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