Le Vigne 2008 Sandrone | Dell’eterno dilemma tra Barolo cru e assemblaggio
di Vittorio ManganelliUn assaggio che fa tornare d’attualità il mai sopito dibattito sull’opportunità di fare vini da singolo cru o da assemblaggio di vigneti diversi. È noto che Veronelli si batté con decisione perché i produttori langaroli scrivessero ben in evidenza il nome del cru, pratica poi adottata con sicuro successo dalla maggioranza delle cantine. Ma è altrettanto noto che sono ancora molti i sostenitori della linea opposta, a partire dai tradizionalisti Bartolo Mascarello e Giuseppe Rinaldi per arrivare all’innovatore Enzo Boglietti, che usa la tecnica dell’assemblaggio per il suo Barolo Riserva.
Luciano Sandrone, celeberrimo e pluripremiato artefice del Barolo Cannubi Boschis, anziché prodursi in una serie di ulteriori etichette da singolo vigneto ha deciso di realizzare, da ormai più di vent’anni, un assemblaggio decisamente ricco che nasce da ben 6 vigne con caratteristiche particolari: Merli in comune di Novello (grande frutto), Cerretta e Baudana a Serralunga d’Alba (potenza e tannicità), Conterni a Monforte (l’equilibrio), Villero a Castiglione Falletto (l’eleganza dei profumi) e Vignane a Barolo (la morbidezza).
Il risultato è assai più che interessante, come dimostrano bene anche le valutazioni ricevute da questa etichetta sulla stampa internazionale (un po’ meno su quella italiana, forse distratta dalla magnifica prestazione del Barolo Cannubi Boschis 2008). Un vino intenso e moderno, almeno nel senso che si colgono ancora le pur lievi sfumature tostate del legno, ricchissimo di frutti rossi e di qualche richiamo vegetale che riporta al sottobosco e alla terra umida. Bocca importante, strutturata, dotata di una certa tannicità che non va però a scalfire l’eleganza complessiva. Finale nitido e nuovamente ricco di frutta. Una bottiglia già gradevolissima oggi ma certamente in grado di migliorare per molti anni.
Avevo già avuto modo di assaggiare, alla cieca, questa selezione paragonandola al Cannubi Boschis 2008: quest’ultimo è più delicato, morbido, leggermente più aperto su note speziate, armonico e seducente, persino più pronto grazie a tannini molto soffici e dolci, dotato di un equilibrio che dimostra la maestria di Sandrone nell’uso del legno (peraltro costituito solo e sempre da tonneaux di diverse tipologie ed età).
Insomma, questo Le Vigne 2008 è una grandissima bottiglia, assolutamente non un second vin di casa Sandrone ma il frutto di un progetto che ha solidissime basi in grandi cru di Langa.
[Foto: The Wine Guide]
7 Commenti
Pietro Stara
circa 12 anni fa - LinkCiao, credo che quello tra cru e assemblaggio non sia in realtà un dilemma. In un'intervista di poco tempo fa, Maria Teresa Mascarello mi disse che per chiunque fosse possessore di piccoli fazzoletti di terra, intorno all'ettaro, ma anche meno, l'assemblaggio era cosa comune. Si trattava insomma di una necessità storica, iniziata da problemi di sopravvivenza (stiamo parlando di oltre 100 anni fa), che si è trasformata in prassi abituale (nel vasto campo del cibo/bevande è cosa abbastanza abituale: pensiamo ad sempio alla nascita delle proibizioni). Solitamente chi veniva in possesso di queste porzioni di terra erano ex-mezzadri, o affittuari, che riscattavano la terra dai propri padroni (come nel caso di Mascarello) L'idea del cru è di stretta osservanza francese e fu proprio Veronelli a chiedere ai langaroli di metter in luce l'evidenza del luogo o dell'eccellenza della produzione. Di per sé non era sbagliato, ma non andava, in questo caso, a comprendere un dato storico, ovvero la formazione della piccola proprietà contadina in quella parte di Piemonte e le logiche porduttive che la sostenevano. Ora i tempi sono naturalmente cambiati, ma continuo a credere che non sia un dilemma, quantomai due scelte legittime, ancorate a due ipotesi, di cui una storica, l'altra di importazione da cugini strettissimi, più recente in terra di Barolo, ma antichissima in quella di Francia.
Rispondidazerovini
circa 12 anni fa - LinkCentrato il punto.
Rispondiantonio f.
circa 12 anni fa - Linkcondivido il pensiero del sig. stara. personalmente sono contro gli psicotici giudizi sintetici a priori. un vino è buono se nel calice è buono. stop.l'abilità di chi fa il vino sta sia in vigna che in cantina. scusate il volontario qualunquismo, ma è d'obbligo davanti a certi pipponi mentali.
Rispondimaurizio gily
circa 12 anni fa - LinkQuello che scrive Pietro Stara è vero ma c'è un altro aspetto forse più importante che spiega perché, se parliamo di tradizione, quella dell'assemblaggio è radicata da più tempo nel Barolo rispetto a quella della "vigna", che è una tradizione relativamente recente. La commercializzazione del Barolo, come tale, nei suoi primi cento anni o poco meno, non è stata fatta da piccoli proprietari, se non in minima parte, ma da trasformatori/commercianti, che acquistavano uve e in parte ne producevano da vigneti propri condotti a mezzadria in zone diverse. Gran parte di queste cantine cento anni fa si trovavano a Bra, quindi fuori zona, in quanto la cittadina era servita dalla ferrovia e questo facilitava le spedizioni. Non c'erano i presupposti di mercato per per promuovere il concetto di vigna, che avrebbe generato solo costi superiori per queste aziende e limitato la possibilità di scegliere, anno per anno, uve dalle diverse zone. Aggiungiamo che la zona è abbastanza soggetta a grandinate a macchia di leopardo e l'obiettivo dei négociants era quello di avere una produzione costante, sia in volume che per qualità. Il che non vuol dire però che il concetto di vocazione territoriale non esistesse: furono proprio questi imprenditori e soprattutto i loro mediatori a formare, almeno nella loro mente (perché al contadino è sempre meglio non far sapere ...), le prime classificazioni delle vigne, conoscendone bene le diverse caratteristiche. Infine concordo sul fatto che pensare al vino da vigna o da assemblaggio in termini di "più buono o meno buono" o anche "più o meno caratteristico" è chiaramente fuorviante. Sono scelte diverse, entrambe hanno la loro ragione di essere, ed è sbagliato pensare che, in una gamma di prodotti, il Barolo da assemblaggio debba essere per forza la base della piramide. Può essere anche il contrario.
RispondiPietro Stara
circa 12 anni fa - LinkGrazie per l'importante precisazione
RispondiStefano
circa 12 anni fa - LinkSe fossero sempre così le delucidazioni come queste riportate, quanta luce avremmo...per vedere e capire meglio...
RispondiCristiana Lauro
circa 12 anni fa - LinkUn vero piacere la lettura di questo post, anche se arrivo in ritardo. Condivido tutto. Da sempre amo i vini di Sandrone che spiccano nei miei ricordi per armonia, concezione ricorrente e di riferimento nei miei parametri. Armonia nei vini di Sandrone e armonia in questi sei interventi, finalmente. Come gli accordi in musica. Debussy non avrebbe orchestrato magistralmente la prima Gymnopédies di Erik Satie se non fosse stato magicamente conquistato da quei due accordi di settima maggiore. Armonia, appunto!
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